sabato 24 ottobre 2009

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I concetti di spazio e di tempo sono cambiati in maniera molto significativa e profonda nell'ultimo secolo fino ai giorni nostri.

La relatività ristretta definisce, nel 1905, un primo abbandono della concezione di tempo assoluto, quello ugualmente definito per ciascun osservatore.
Infatti nella relatività ristretta, il tempo e lo spazio sono sullo stesso piano ed il fluire del primo è diverso per due osservatori differenti (rallentamento del tempo con l'aumentare della velocità, paradosso dei gemelli, ecc.)
Poco dopo la relatività generale del 1915 (che ebbe una spettacolare verifica sperimentale nel 1919 con la misura della deviazione della luce delle stelle durante un'eclisse di sole) causa un rimescolamento molto più profondo nelle nostre concezioni dello spazio-tempo, e le conseguenze ultime di questa teoria non sono ancora state tutte esplorate.

La novità, nella teoria della relatività generale, consiste nel supporre che lo spazio-tempo non sia piatto e che la sua curvatura sia all'origine delle forze gravitazionali.
A prima vista questo non sembra un grande cambiamento concettuale; i guai iniziano quando si considerano gli effetti di campi gravitazionali intensi. Infatti, la concentrazione di grandi quantità di materia in regioni ristrette dello spazio (dello stesso ordine di quelle che possono essere generate dal collasso di una stella per intenderci) crea fenomeni completamente nuovi e, apparentemente, paradossali: i buchi neri.

Ogni tanto capita di discutere della percezione che gli uomini hanno della realtà che li circonda. In generale il tema, quando si fa riferimento alla progettazione, è quello della decodifica del paesaggio contemporaneo e degli effetti di questa decodifica sui sensi. Bene. Alla luce di quanto sopra detto, succede un fatto molto intrigante in prospettiva dell'ottenimento di codici per la lettura della realtà che ci circonda e, di conseguenza, del paesaggio in cui è immersa.

La soluzione esatta delle equazioni gravitazionali (sotto alcune ipotesi semplificatrici) porta alla conseguenza che una persona distratta, cadendo dentro un buco nero, raggiunge, in un tempo soggettivamente finito, l'istante che per un ipotetico osservatore esterno corrisponde, invece, ad un tempo infinito. Si rimane quindi intrappolati dentro il buco nero e non si può più tornare nell'universo attuale, in quanto lì il tempo (infinito) dell'universo usuale è già terminato! Molto interessante, non credete?
Più in generale, l'aver concepito lo spazio-tempo come curvo, porta necessariamente alla possibilità che lo spazio abbia una struttura topologica complicata. Attenzione a questa semplice riflessione: lo spazio ha una struttura topologica complessa.

Non si tratta semplicemente dell'eventualità che lo spazio sia finito, ma di qualcosa di ben più strano: come nei libri di fantascienza, è possibile che regioni apparentemente lontane dello spazio siano in realtà, connesse tra loro, mediante una strada più corta (sempre in presenza di campi gravitazionali intensi); lo stesso potrebbe avvenire per collegare regioni apparentemente lontane nel tempo: si cade dentro un buco nero e dopo un attimo di tempo soggettivo, si esce da un buco bianco (l'inverso del buco nero), che sono trascorsi alcuni miliardi di anni del tempo usuale.
Molto, molto interessante. Specialmente per chi ha l'ambizione di decodificare la realtà che lo circonda per trarre da ciò spunti interessanti per approfondimenti ed ipotesi di sviluppi futuri. Ora, l'aspetto più strano di queste realtà fisiche è che la teoria della gravità quantistica sembrerebbe predire che lo spazio-tempo sia pieno di queste strutture su scala microscopica (dette wormholes) che congiungono punti a distanza macroscopica. Alcuni sostengono che la struttura dello spazio nella gravità quantistica è ancora più complicata e su piccola scala lo spazio(come la superficie dell'acqua quando forma una schiuma) è lontano dall'essere approssimativamente piatto.
In tutte queste teorie non è affatto chiaro come mai, pur essendo lo spazio tempo così curvo e complicato, su piccole scale viene da noi percepito come piatto.
Si pensa che ciò dipenda dalla modo con cui il nostro cervello reagisce agli stimoli. In pratica dalla "forma" dei sentimenti e delle emozioni che l'animale uomo è in grado di decodificare senza andare in "tilt", per intenderci. Cioè è parte integrante di un processo dinamico, costantemente in evoluzione dall'alba dell'umanità. Non è lo spazio-tempo che è cambiato, ma la capacità del nostro sistema percettivo sensibile di riconoscerlo.

Nella realtà dei nostri giorni è, oramai per molti, facilmente percepibile l'esistenza di almeno due tipologie di tempo che, nella limitatezza delle nostre capacità cerebrali, possiamo definire con "lento" e "veloce". Intuitivamente, per chi è già sintonizzato, viene da pensare che ce ne devono essere sicuramente altri. Ed alcuni si riescono già a intravedere. Ma non voglio complicare troppo una situazione già difficile.
Al "tempo lento" associamo i fenomeni cosiddetti "naturali". Al "tempo veloce" associamo tutti i fenomeni legati alla "comunicazione". Questi ultimi, quelli legati alla comunicazione, nel corso della storia, e della storia recente in particolare, hanno assunto un ruolo fondamentale nella definizione di quella "forma" dei sentimenti e delle emozioni che l'animale uomo è in grado di decodificare a cui accennavo prima. La comunicazione (in tutte le sue coniugazioni) è una sorta di "accelerante" per l'esplosione della conoscenza. Naturalmente, come sempre, gli effetti non sono tutti esemplari.
Ma questo fa parte del gioco e, nel dettaglio ci interessa poco.
A noi interessa, invece, il fatto che queste condizioni al contorno generano l'esigenza di adeguare le abitudini e le convenzioni di lettura dell realtà e, conseguentemente, di lettura dell'ambiente nel quale la realtà è immersa e dal quale trae linfa vitale.

E perciò suggeriamo, a questo proposito, di evolvere ognuno il proprio "sistema di lettura" e di trasformarlo da "mono" a "stereo", cioè almeno capace di configurarsi e sintonizzarsi sulle frequenze dei due tempi a cui stiamo accennando. (Considerate solo che, in ambiti meno "pericolosi" questa pratica ha già almeno cinquanta anni ed ha raggiunto livelli di sofisticazione eccelsi.) Introduciamo allora un concetto sul quale vogliam che riflettiate e che chiamiamo rilievo stereo-temporale della realtà.(alcuni di voi lo hanno già sentito, ne abbiamo accennato qualcosa quest'anno)
E' un modo alternativo per definire un aspetto fondamentale della nostra realtà e cioè che noi non solo siamo in grado di iniziare a percepire l'esistenza di "tempi diversi", ma che questi "tempi diversi" li viviamo simultaneamente.
Con ciò voglio dire che
- IL TEMPO LOCALE della Natura, lento( i trasporti, i toni bassi, gli spostamenti che permangono ecc.)
- IL TEMPO PLANETARIO della comunicazione veloce( i toni medio-alti, le trasmissioni, l'instantaneità, il live, ecc.) giocano contemporaneamente la loro partita nella quotidianità, influenzandosi vicendevolmente e determinando nuovi livelli di stimolazione dei nostri sensi, più profondi dei precedenti, che dovranno essere metabolizzati e resi capaci di influenzare la "forma" dei sentimenti e delle emozioni che l'uomo usa per leggere lo spazio che lo circonda, in tutte le sue accezioni.

Servono quindi anche nuovi modi di rappresentazione della realtà descritta dai media e dalla simulazione. Modi di rappresentazione, appunto "stereo-temporali". Capaci di rappresentare quella radicale trasformazione antropologica che negli ultimi decenni ha tramutato le nostre vite in spazi colonizzati da tecnologie portatili e microscopiche. Capaci di rappresentare una realtà nella quale i confini dei nostri corpi si sono dilatati per incorporare impianti bluetooth ed escrescenze siliconiche, iniezioni di botox e protesi al titanio; una realtà nella quale il nostro stomaco ed il sistema metabolico sta imparando a nutrirsi con cibi transgenici ed il nostro cervello si è "messo in Rete", scoprendo una nuova intelligenza collettiva. Insomma metodi di rappresentazione capaci di raccontare un mondo ormai governato da un'integrazione sempre più promiscua tra reale ed artificiale, tra biologico e meccanico, alla quale corrisponde una distinzione sempre più sfumata tra fatti e finzioni: un mondo forse "post-umanistico", tanto per riprendere il titolo di una delle mostre fondamentali degli anni novanta.

Obiettivo di "CONNECTION" sarà anche perfezionare questa sensibilizzazione.



MP