venerdì 27 novembre 2009

ftp

I file delle regole fenomenologiche selezionate, nonché il masterplan descritto in sorpresa:pronti?.....via! può essere recuperato dalle cartelle pubbliche di co4.connection, su http://www.esnips.com.
La procedura è un po' intricata ma funziona:
1- accettate l'invito a diventare friends di co4.connection (se non lo avete ricevuto richiedetelo)
2- aprite la cartella desiderata e visionate il materiale
3- è possibile effettuare il download del materiale solamente dopo averlo visionato
4- il nome dell'autore nonché il suo riferimento e-mail è reperibile direttamente dal nome del fine

Buonavione

_regole fenomenologiche

Gentili partecipanti,
abbiamo visionato e discusso i lavori svolti che avete inviato numerosi.
E' stato divertente e difficile contemporaneamente.
Sicuramente ci siamo convinti della bontà dell'impostazione del Workshop.
Questo first step ha permesso a tutti di avvicinarsi alla problematica del trattare nei fatti e non solo nelle parole l'argomento in questione.
Alcuni di voi ne hanno fatto una specie di riassunto, come per riordinare le idee, altri ci hanno provato ed alcuni sono riusciti ad ottenere un risultato interessante.
Sappiamo per primi che non è facile. Ma questo è fare architettura oggi.
Poi dovrete disegnarla, scegliere con il cliente i materiali, andare in cantiere a spiegare perfettamente come realizzarla.
Ma per scriverla oggi si deve percorrere questa strada.

SOM ci chiese, quando si prospettò la possibilità di realizzare questo incontro, cosa ne pensavamo della possibilità di creare un evento attorno alla loro lecture; un evento che coinvolgesse direttamente gli studenti ed i docenti afferenti agli argomenti in questione. Abbiamo risposto che non avremmo avuto la possibilità di realizzare un "seminar" per motivi logistici e culturali, ma che avremmo tranquillamente potuto organizzare un evento di architettura, in quanto questo è un argomento che riusciamo a trattare con una certa dimestichezza. Ed è quello che grazie a voi si sta piano piano
generando. Non avete idea di cosa è arrivato in Studio in questi ultimi due giorni. Si stenta a crederlo. Se uno non lo vede, legge, guarda di persona non ci crede. C'è una vivacissima voglia di fare qualcosa di originale ed autentico, in cui credere. Ed è il terreno ideale per far crescere qualcosa di sano e culturalmente gustoso.

Come procediamo.
Si sono selezionati dieci lavori: dieci potenziali ed effettive regole fenomenologiche capaci di interpretare in maniera acuta e propositiva la realtà culturale e sociale che ci circonda. I produttori di questi lavori diventano automaticamente i titolari della poltrona di regista del video di architettura che dovrà nascere dall'applicazione di queste regole fenomenologiche al Masterplan dell'area in questione che vi invieremo a breve. E gli altri?
Gli "altri" contatteranno i "registi" e verificheranno quale di loro ha l'idea più interessante. Fatto questo confronteranno le idee e le abilità da offrire proponendola disponibilità a partecipare allo sviluppo del progetto.
N.B.
Tutti gli "altri" dovranno essere coinvolti, quindi largo al buon senso!

Il regista ed i suoi collaboratori dovranno definire quindi lo storyboard da quale si svilupperà il progetto di architettura che verrà esposto e raccontato nel video finale.
E' evidente che prima si scrivono gli storyboard meglio è.
Per la scrittura dello storyboard e per le tecniche di sviluppo del video siete liberi di usare le strategie che preferite. Verifichiamo insieme le direzioni che avete intenzione di prendere ma solo per non creare prodotti incomprensibili o
inavvicinabili, che non avrebbe senso.

I dieci lavori selezionati sono stati prodotti da:

Marcello Branzanti
Mila Balestri
Filippo Nassetti
Marco Reggiani
Giovanni Amadei
Vincenzo Reale
Matteo Tosi
Sara Campagna
Enrico Lupatelli
Ilaria Venturelli

Abbiamo creato un ftp dove potrete trovare i lavori selezionati e, quindi, le sottese regole fenomenologiche. Nell'ftp porremo anche il masterplan di riferimento, al quale "applicare" le varie filosofie d'intervento suddette al fine di generare l'architettura della città futura che racconteremo con il video finale.

Vi arriverà un messaggio specifico con le informazioni dell'ftp.

A presto

MP

mercoledì 25 novembre 2009

_g

Mentre date fondo alle esplorazioni di territori sconosciuti al fine di suggerirci che siete meno sprovveduti di quanto noi pensiamo, approfondiremo un tema progettuale urbano di grande attualità: la modellazione del paesaggio.

E' un argomento che negli ultimi venti anni ha riscosso moltissima attenzione e curiosità, in quanto, quando ben svolto, ha sempre dato risultati sorprendenti sia in termini di qualità urbana sia in termini di qualità architettonica.

Per discuterne sfrutterò un'intervista a cui ho assistito durante una Biennale di Rotterdam ad un personaggio controverso, ma indiscutibilmente di grande spessore culturale; Zaha Hadid, per la quale lavora un'amica italiana che mi ha aiutato a capire meglio alcuni concetti espressi durante la conferenza.

Come mai Hadid per capire meglio la modellazione del paesaggio? Innanzitutto per il fatto che lei è convinta che un repertorio formale sia essenziale per l'urbanesimo. Personalmente affronto questo tema con acuto scetticismo ed il motivo è ben celato nella cattiva abitudine dell'accademia italiana di utilizzare tonnellate di concetti come "tipologia" e "impatto sul costruito" per imbastire qualsiasi riflessione formale sul paesaggio. Ma è un argomento indispensabile da affrontare. Ed ecco che scoprire l'interesse di Zaha Hadid a dar vita all'idea genertrice del progetto conformando il piano del suolo attraverso l'intaglio, l'implosione e l'esplosione, mi offre la possibilità di tirare un sospiro di sollievo e allontanare lo scetticismo patologico accumulato verso tutto ciò che è formale.
In particolare le analogie con quanto detto fino ad ora nelle altre mie comunicazioni, sono ben chiarite dalla condizione fondamentale che sta alla base di questa ricerca e cioè che la conformazione del piano del suolo non viene attuata per un semplice gesto formale ma esclusivamente come modo di affrontare la complessità del progetto, la componente sociale dell' architettura. Scoprire questo non solo mi ha fatto stare bene psicologicamente, ma mi ha tranquillizzato. Mi sono detto "un altro designer che la pensa come noi". Che crede che la soluzione dell'architettura e dell'urbanesimo contemporanei sia da ricercare nella complessità. Bene.

Il modernismo ignorava il suolo innalzando edifici sopra il suo livello e lasciando spazi aperti per il pascolo delle pecore!

Siamo convinti che si debba indagare il livello del suolo, studiarlo ed imparare a programmarlo come sede di eventi (come abbondantemente approfondito fino ad ora). La questione non è meramente formale: è programmatica. E' relazionale. E' landscape. E' land art.
Zaha Hadid, ad esempio, è dagli anni sessanta che sperimenta la collocazione di ampie strutture programmatiche al livello del suolo in modo da evitare che divengano una barriera. Fin dai primi progetti presso la AA di Londra e dalla programmazione della distribuzione dei terreni di Colonia o dal progetto dei Grand Buildings per la Londinese Trafalgar Square, per tutti i quali usò il concetto dell'intaglio come modalità di presentazione di molteplici eventi al livello del suolo.
Da lì nacque, per Lei, l'idea del suolo come entità pubblica porosa, in cui chiunque può spostarsi a suo piacimento. La forma ed il programma non possono essere scissi l'una dall'altro: la topografia li unisce. Per un designer di architettura è importante interrogarsi sul modo in cui la forma si rapporta al programma. Per Zaha Hadid è molto rilevante la griglia: questa consente l'esistenza di elementi diversi a livelli diversi. E', per i suoi sviluppi progettuali, una sorta di rete che interpreta nei modi più disparati. In un progetto per Istambul, di qualche anno fa ad esempio, collocato in un avvallamento urbano contenente una vasta area industriale in disuso nei pressi del mar di Marmara, si è cimentata con lo schema a griglia, creando catene montuose che si ergono alle intersezioni e configurando una rete distorta che muta e si addensa con il passar del tempo. Può iniziare come una distesa erbosa aperta, si può occupare sia la strada che la zona verde, si può occupare l'intero lotto o gli incroci su cui sorgono grattacieli a forma di stella ed edifici più bassi adibiti ad abitazioni o ad uffici. Una rete fluida che muta a seconda del tempo, del programma e dello spazio. Questa gradazione rende possibile un processo di composizione incompleta, in cui un progetto cresce in maniera organica con il passare del tempo, pur apparendo e risultando completo in ogni momento della sua evoluzione. Direi che il caso del MAXXI di Roma, di grande attualità, ne è un esempio eccellente in quanto consistente in edifici diversi e dà la sensazione di costituire un oggetto completo formato da tre, poi quattro poi cinque segmenti (se verranno come spero costruiti tutti........in Italia...).
Condividiamo un altro pensiero con la designer" iraquoinglese" e cioè che molti architetti nutrono un interesse indiretto per la città tradizionale e che ambiscono, invece, a poter trattare con la città globale. Forse, pensa la Hadid, si tratta di una reazione agli impatti negativi delle regolamentazioni urbanistiche, che hanno distorto tanti paesaggi urbani. Dovremmo distaccarci da queste logiche bidimensionali e riflettere sulla stratificazione di un singolo lotto. La stratificazione costituisce un sistema organizzativo che può diventare sempre più complesso via via che passa il tempo. Il suo potenziale aggiuntivo contribuisce a una nuova modalità di lettura e di intervento sulla città contemporanea.

A questo proposito ho memoria di una "Summer Session" che feci anni fa a Londra presso la AA come apprendista designer. Ci fu chiesto di attraversare Londra da est a ovest e poi da nord a sud e di disegnare ciò che vedevamo. Poi ricominciammo in senso diagonale da nord-est a sud-ovest e viceversa: una Londra all'infinito. Si doveva elaborare una sezione di questa linea ed analizzarne il "potenziale paesaggistico urbano" e quindi collocare in vari punti gli edifici che reputavamo necessari per la città. Attraverso quella lettura capivamo in che modo la città subiva un graduale mutamento nella sua sezione e quanto fossero "imprevisti" gli avvenimenti che si verificavano: per esempio, tutti i parchi sono allineati lungo uno di quegli assi. Ricorrendo ad una tecnica pittorica, individuammo ed isolammo i "villaggi urbani" di Londra che convergevano nella città, creando così una nuova immagine di Londra e del suo vero funzionamento. Questo processo mi ha chiarito in che modo la città potesse crescere; che poteva cioè espandersi verso est creando una nuova metropoli lungo il Tamigi che, all'incirca quanto sta avvenendo adesso, a quasi venticinque anni di distanza (!!).

Per mia "necessità culturale" ho riapplicato quel processo di indagine anche alle mie città, quelle dove vivo, nel Bel Paese. E mi sono accorto che il "potenziale paesaggistico urbano" aveva grandi affinità con quello dedotto a Londra. Non sto parlando del dettaglio architettonico o della ringhiera in ferro battuto verniciata di nero che accompagna il disegno dei "Terraces". Sto parlando della traccia, lasciata sugli schemi grafici e sulle tavole dipinte, dall'energia vitale che pulsa all'interno e nelle profondità della città.
Quella energia che necessita di nuove architetture (non necessariamente di nuovi edifici) per essere adeguata, assecondata e coltivata. Come ogni cultura libera, di qualità solo decente, richiede per la sua sopravvivenza.

Altro aspetto che completa e rende didatticamente interessantissima la visione di Zaha Hadid del problema "città globale", è il grande interesse che suscita in lei la "porosità" delle strade. Tuttavia a questo riguardo non è possibile legiferare: accade e basta.
Lei fa un esempio a proposito e dice che anni fa "...restai sopraffatta dall'oscurità della londinese Sloan Street alle sette di un sabato sera. Erano tempi di recessione e molti negozi erano chiusi, quindi dalle vetrine e dai ristoranti non trapelava luce. Ora, nonostante oggi le cose non vadano molto bene per l'economia mondiale, accade il contrario: le strade risplendono e, come sempre, le persone vi si insinuano al livello del suolo. Questo fenomeno non è mai stato progettato: è accaduto e basta. Uno dei fattori che più hanno modificato l'intensità urbana di Londra nell'ultimo decennio è consistito nella sostituzione delle sedi di banca sfarzose ma scialbe che occupavano gli edifici d'angolo, con bar e ristoranti che hanno riprogettato quegli spazi di grande presenza iconica. Quel che voglio sostenere, continua la Hadid, è che il dibattito sul modo di attivare il livello del suolo è in corso da venticinque anni e non è mai
stato messo in pratica attraverso la progettazione, mentre lo è stato attraverso la programmazione."
Come vedete c'è grande affinità di impressioni con quello che abbiamo discusso fino adesso in queste comunicazioni. Naturalmente lungi da me suggerire questa come l'unica strategia per affrontare il problema. Ma è quella in cui crediamo ed è anche quella sulla quale si stanno cimentando, secondo prospettive molteplici, i gruppi di studio più importanti del mondo del progetto.

Un'ultima nota a margine di questa chiacchierata sulla modellazione del paesaggio..
Noi siamo affascinati dagli interventi urbani dei modernisti della vecchia guardia, come alcuni degli stabili neocorbusiani in lastroni e blocchi di cemento di cui sono ricche molte città anche del Bel Paese e non necessariamente solo nelle periferie. Questi edifici sono frammenti di vasta scala, interventi geometrici incompleti disegnati per rimpiazzare la città esistente. E' la loro incompletezza a destare il nostro interesse, in quanto rappresenta gli esordi di un'ambizione relativa alla possibilità della geometria urbana di manovrare nel concreto le attività compiute nella strada e nella forma edificata. Nel cuore delle città storiche questo è, evidentemente, molto difficile da gestire. Intervenire in modo contemporaneo è fondamentale, ma bisogna farlo con estrema precisione. Nella città servono luoghi in cui gli oggetti possano restringersi ed espandersi, e riteniamo perciò indispensabile, che occorra elaborare "qualche elemento" che renda possibile anche un tipo di crescita organico, capace di fondersi fisiologicamente con quello classico stratificato dal tempo, e capace di dare risposte complessive (vecchio+nuovo) coerenti alle domande quotidianamente poste dalla Vita alla contemporaneità.

MP

sabato 21 novembre 2009

sorpresa: pronti?....via!

Bene.
Abbiamo accumulato un certo numero di argomenti (ne arriveranno altri) su cui impostare la prima parte del workshop che è quella che partirà oggi, venerdì 20 novembre 2009.
Data storica per molti di voi. Infatti non credo che troverete più nessuno che vi chiederà di scrivere uno storyboard per un progetto di architettura........e vi assicuro che è un gioco che vi mancherà.
Ma tant'è. Quindi:
First Step: regole fenomenologiche

Abbiamo deciso la location della performance. Per una moltitudine di ragioni che non vi sto a spiegare, ma che molti di voi potranno facilmente immaginare, la location è stata scelta in Italia ed oltretutto qui vicino a noi. Questo, alla fine della fiera, essenzialmente perchè così riusciamo a dare un senso più compiuto al lavoro ed una più ampia visibilità.
Insomma, l'abbiamo fatto per voi.
Che per altro mi va benissimo, come ben sapete.
La città soggetto della nostra attenzione sarà Modena, di cui l'amministrazione ha manifestato già da tempo interesse a mettersi un po' in discussione e della quale, alcuni di voi, hanno già in portfolio indagini e dati, essendo stato teatro di progetti per Co.4 due anni fa.

Connection è un workshop che considera l'oggi in previsioni future. Considera la città di oggi e tenta di darne chiavi di lettura future. Considera, in particolare, cosa può innescare l'inserimento di un Hub di Transportation in un tessuto urbano. Gli squilibri iniziali, le tensioni superficiali e profonde, le rotture, le nascite e le morti, dei tessuti e delle cellule attorno alla ferita causata "dall'impianto chirurgico". Nel nostro caso dall'impianto di un "polo intermodale". Così, infatti, si chiama un sistema connesso di mezzi di trasporto differenti afferenti ad un unico ambito urbano (treni veloci, treni metropolitani, linee pubbliche a lunga percorrenza, linee pubbliche cittadine, taxi, autovetture private, moto e bici, nell'ordine nel nostro caso).

Modena ha già svolto un lungo lavoro di indagine attorno all'argomento che ha dato frutti esposti in una mostra circa un anno fa, di tipo prettamente urbanistico: quindi masterplan, essenzialmente, nei quali si suggerivano soluzioni per svariati ambiti della città. Tra questi anche quello che comprendeva la vecchia stazione FFSS, che è stato oggetto di ricerca di un team universitario sovrainteso dal prof. Porrino che ha esposto una soluzione (frutto di una lunghissima trattativa con l'amministrazione!) riassunta in un masterplan.

In CONNECTION non proporremo modelli alternativi di quel masterplan. Come vi ho già detto questo aspetto non ci interessa. Abbiamo abbondantemente criticato le metodologie di ricerca degli urbanisti nelle sedi opportune. Siamo sempre stati convinti che non esiste soluzione di continuità tra architettura e tessuto urbano, nel senso che le "pianificazioni" senza architettura non esistono e sarebbe meglio che venissero sostituite da alcune (poche) prescrizioni generali alle quali i progettisti dell'architettura e del paesaggio si dovrebbero attenere nello sviluppo congiunto delle soluzioni informali (nel senso letterale di non-formali) che le esigenze del momento richiedono.
Questo è lo stato dell'arte. Ma il terrore di abbandonare posizioni difensive è incommensurabile e per adesso non si vedono riscontri interessanti alla questione.
In CONNECTION proporremo una visione architettonica del disastro che succederà con quell'impianto. Meglio, una serie di visioni del disastro che succederà. La parola disastro non è casuale. E' la preferita dal popolo del Bel Paese (ma anche in Europa non si scherza!) che la usa tutte le volte che qualcuno suggerisce innovazioni. E noi proporremo solo innovazioni. Quelle innovazioni che dovranno essere permesse dall'architettura e dal paesaggio che verranno realizzati in quel contesto, a prescindere dalle tracce fatte sul terreno da qualche tecnico comunale in vena artistica.

La performance sarà essenzialmente questa: originali video di 4/5 minuti nei quali saranno "ospitate" diverse soluzioni percettiv dell'architettura e, conseguentemente, del paesaggio che l'inserimento del nuovo HUB (il polo intermodale) ha causato nell'organismo città. Cioè performance di Architettura Contemporanea.
Stiamo tentando di organizzare una presentazione in una location speciale. Ne abbiamo alcune, vediamo cosa matura.
Prima di continuare, però, voglio sia chiaro quanto è importante capire che se avessimo inserito un altro tipo di "protesi"(un aereoporto, un centro commerciale, una rete della metropolitana) all'interno della Città le risultanze sarebbero state profondamente differenti. E questo in quanto l "regole fenomenologiche" che ci dovranno permettere di "decodificare" la complessità e dalle quali partirà il processo creativo legato al Workshop, forniscono, una volta applicate a casi specifici, risultati straordinariamente differenti gli uni dagli altri. E' il bello (ed il terrificante) dell'informalità.
Bene. Ma dove troviamo queste "leggi fenomenologiche" di cui stiamo parlando da tempo?
Chi fornirà questa merce rara e preziosa per il progetto dell'architettura oggi?
Per rendere più divertente il workshop, abbiamo deciso che sarete voi a fornirle. D'altronde siete voi che fate il workshop per tentare di migliorare un po' la vostra mediocre ed instabile capacità progettuale. Quindi ci è parso didatticamente ineccepibile fare in modo che alla fine almeno capiate di cosa stiamo parlando.

First Step: regole fenomenologiche.
Vi spiego cosa succederà in termini operativi. Il primo step. da oggi 20 novembre 2009 a mercoledì prossimo 25 novembre 2009, sarà da vo impiegato per realizzare una prima fase, direi fondamentale, del workshop e cioè la creazione, da parte di ognuno di voi, di un opera finalizzata ad offrire una interpretazione della complessità urbana contemporanea. Nel miglior spirito di Co.4 non imponiamo nessun vincolo a come la realizzerete. Totale libertà.
Eccetto che per il fatto che ogni lavoro avrà l'attenzione dello staff x 2 (due) minuti. Cioè verrà letto (se è uno scritto) per due minuti, verrà visionato (se è un'immagine o un video) per due minuti; verrà ascoltato ( se è un file audio) per due minuti. Vi consigliamo perciò di progettarlo in modo da essere apprezzato tutto in due minuti. E' una scelta che abbiamo fatto con la volontà di ottenere dei lavori raffinati. A buon intenditor............
Vi chiediamo di chiamarla con un "motto" o un nome o un codice, come preferite. E' per averla + o - anonima sul tavolo.
Va consegnata entro mercoledì 25 sera a noi via mail. Quella sera ci troveremo qui in Studio da me e sceglieremo gli 8/10 per noi meglio riusciti, condividendo con gli amici di SOM il lavoro via Skype.

Questo primo step servirà a selezionare 8/10 opere (ed i loro autori) attorno alle quali faremo "crescere" la seconda fase che consisterà nella generazione di 8/10 gruppi di lavoro che dovranno redigere uno storyboard (che sarà una sorta di copione cinematografico) da cui, ogni gruppo, ricaverà, infine, il video che verrà presentato. Per certi versi è un'evoluzione di alcune esperienze fatte a Co.4. In quei casi gli obiettivi erano generici. Qui cerchiamo di farvi progettare dell'architettura di elevata qualità secondo canoni di avanguardia. Un upgrade, appunto. Poi vi spieghiamo come si procederà alle fasi successive.
Dimenticavo: CONNECTION è un workshop serio.


Buon lavoro e a mercoledì.


MP

mercoledì 18 novembre 2009

_f

Negli ultimi cinquecento anni almeno, il principale sviluppo delle città ricche di tutto il mondo è stato la crescita verso l'esterno, caratterizzata in genere da una densità di popolazione decrescente e dalla spinta dei ceti benestanti in una direzione e dei meno abbienti dall'altra. Questo tipo di sviluppo ha contraddistinto la Roma antica, contraddistingue Londra fin dal XVII e contraddistingue le odierne città di quasi tutti i continenti. Di fatto, quasi ogni cosa ritenuta centrale in una città è stata, in un certo momento della storia, periferica. Per questo sono scettico riguardo alla disciplina della storia delle periferie. Se applicata in modo appropriato, questo campo verrebbe a coincidere del tutto con quello della storia urbana.
L'idea che nel XXI secolo convenga impedire di colpo alle città di espandersi ulteriormente personalmente la considero abbastanza discutibile. I progetti che tentano di arginare la crescita verso l'esterno imponendo limiti allo sviluppo, dalla Londra dell'immediato dopoguerra all'odierna filosofia di quasi tutti i PSC italici, hanno prodotto molti effetti indesiderati, tra cui, in particolare, le limitazioni nella fornitura dei terreni, il costo elevato degli spostamenti e l'impatto eccessivo sulla popolazione della fascia socioeconomica più bassa.

Dal punto di vista storico, il motivo addotto per avvalorare queste misure di compattazione è sempre stato quello di creare una "migliore forma urbana"(il centro con un certo tipo di gente è più carino....) e di "proteggere le aree rurali". D'altro canto, l'adeguatezza della forma urbana è sempre stata una questione fortemente soggettiva. Ed in effetti solo da pochi anni, l'avanguardia architettonica sta iniziando a scoprire la bellezza dello sviluppo urbano incontrollato (informale).
Di sicuro non vi è alcun motivo di proteggere tanto i terreni agricoli come facciamo nel Bel Paese, in quasi tutta Europa e nell'America settentrionale. In queste regioni, quasi tutti i paesi producono cibo in eccesso, con tutte le incredibili trafile burocratiche che ciò innesca (vedi le quote latte di recente memoria o le montagne di arance distrutte nelle discariche in Sicilia), e dunque non solo questo approccio è costoso per tutti i sussidi necessari, ma i sussidi stessi hanno anche permesso ai grandi produttori agricoli dell'occidente di battere sui prezzi gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo, arrecando danni indicibili all'economia delle zone svantaggiate del mondo.
Negli anni novanta i gruppi ambientalisti (praticamente tutti) hanno sostenuto fortemente il movimento di lotta allo sviluppo urbano "incontrollato" (informale). Alcune delle loro argomentazioni si incentravano sull'estensione delle superfici asfaltate, sul deflusso superficiale delle acque piovane e sulla biomassa, ma in cima all'elenco delle accuse c'era il problema del riscaldamento globale. Obiettivamente il riscaldamento globale sembra essere un problema degno di nota, ma il collegamento tra questo fenomeno e lo sviluppo urbano informale è straordinariamente tenue. Il problema fondamentale non consiste nelle dinamiche abitative, ma nell'uso inefficace delle vecchie tecnologie e nel ricorso eccessivo ("patologico e sospetto") ai combustibili fossili come fonte principale energetica.
Non voglio partecipare o fomentare la polemica. Voglio solo osservare la realtà da un posizione sufficientemente "distaccata" da poter constatare che quando si parla dei problemi davvero catastrofici del mondo urbano odierno, il punto essenziale è rappresentato dalla necessità dell'individuazione di fonti energetiche più pulite. E' questo il problema che assilla soprattutto il terzo di popolazione urbana mondiale che vive con meno di un dollaro al giorno e versa in condizioni igieniche che gli abitanti del mondo benestante non possono neanche immaginare. Per tirarsi fuori dall'indigenza, queste persone avranno bisogno di un aumento e non una riduzione dell'accesso all'energia; perciò la soluzione al riscaldamento globale deve passare necessariamente da un mutamento tecnologico radicale, e non nascondersi dietro alla semplice conservazione o adattamento delle dinamiche abitative e suggerendo di ritornare ad uno stile di vita preindustriale, rifiutando così anche le implicazioni della estesa connettività tecnologica che caratterizza la società contemporanea.

Mutamento tecnologico radicale. Probabilmente radicale è di troppo. Adeguare è il verbo più adatto, quindi coniugato, adeguato.
Mutamento tecnologico adeguato. Adeguato a cosa? Alle esigenze del futuro. Non del momento. Del futuro. Non è particolarmente ostico come principio. Necessita di un briciolo di conoscenza ed una sprolveratina di senso civico.
Alcune realtà urbane europee avanzate utilizzano sistemi di cogenerazione ad impianto singolo e generano dei virtuosi "network" energetici utilizzando il surplus della produzione. E così si può pensare di fare con qualsiasi fonte energetica alternativa. Se si parte da questo presupposto, non si comprende per quale motivo una forma urbana ampiamente disseminata non possa impiegare l'energia con maggiore efficienza e non possa inquinare drasticamente meno di una città ad alta densità demografica. Come accennato prima, se si vivesse in una società dove ogni insediamento dispone della possibilità di autogenerarsi l'energia che gli serve, si potrebbe soddisfare a livello locale tutto il fabbisogno energetico sfruttando l'energia eolica, solare, geotermica, solare termica, cogenerata ed in composizioni virtuose di queste. Già si fa. Non sto parlando di previsioni future. Nel mio Studio stiamo realizzando una struttura che sfrutterà l'energia elettrica prodotta da un campo fotovoltaico per azionare delle pompe di calore svedesi integrate con delle pompe di calore geotermiche, per la totale climatizzazione e produzione di acqua calda dell'edificio.
In questo modo si potrebbe disporre, tra le altre cose, di una biomassa maggiore di quella di un centro cittadino asfaltato o di un campo di grano, che è una monocoltura. Nei paesi europei di cui sopra, sono già in molti a non basarsi su una rete elettrica centralizzata. D'un tratto, grazie alle soluzioni a bassa ed alta tecnologia, non stiamo più parlando di un fenomeno marginale, ma della concreta possibilità che un elevato numero di persone non abbia più bisogno di fare affidamento sul sistema delle "grandi condutture" che si sono rese necessarie per il sostentamento delle città industriali del XIX secolo, e lasciare che vengano invece utilizzate, a costi molto più bassi, per ospedali, scuole, mezzi di trasporto ecc. In attesa della fusione nucleare controllata che è molto più vicina di quanto si creda e che servirà essenzialmente per i mezzi di trasporto. Piaccia o no.

Ho una osservazione da fare a proposito della scarsa qualità delle teorie prodotte dalla quasi totalità degli ambientalisti italici (e non) a proposito dell'argomento in questione. Questa forse potrebbe sembrare una polemica ma non lo è. Assolutamente.
Uno dei principali punti deboli delle critiche sullo sviluppo urbano informale o incontrollato, è che sono critiche che si fondano sul modello di sviluppo urbano della città ottocentesca e che mancano di qualunque curiosità riguardo agli altri modelli urbani possibili. (.ricordate?....."noi non faremo mai la metropolitana".....)Pare strano che una categoria di intellettuali che si definiscono progressisti abbiano smesso dagli anni sessanta di interessarsi al progresso. Un tempo erano interessati al modo in cui l'innovazione tecnologica avrebbe potuto plasmare il futuro; ora, tutti questi sedicenti ambientalisti, sembrano aver sviluppato un'avversione per le prospettive del futuro, per la globalizzazione, per un commercio più libero, per l'ingegneria genetica ed anche per le opzioni urbane alternative. Continuiamo a parlare della scelta tra l'automobile ed il treno, ad esempio, ma sia l'una che l'altro (così come concepiti oggi) sono ben lontani dal rappresentare il sistema ideale; chiediamoci quindi quale potrebbe essere la prossima alternativa. Non ci sono più grandi impedimenti tecnici che ci impediscono di pensare che tra venti anni non si possa entrare nel proprio ripostiglio e prendere un veicolo che utilizza con un carburante ecologico e che si può guidare in strade strettissime senza rischi in quanto servo-controllato con un piccolo computer.
E che, a seconda delle necessità, può spostarsi in aria ad un'altezza più congrua in virtù della distanza da percorrere, ed unirsi come una carovana ad altri veicoli simili, che viaggiano ad alta velocità tra una parte della città e l'altra e, quando necessita, si stacca e scende riprendendo una strada a terra per raggiungere la propria meta. In Giappone stanno studiando qualcosa di simile da applicare ai loro treni superveloci. Quasi tutti voi avete in tasca un oggettino di plastica e chip che vi può tranquillamente indicare la strada, suggerire soluzioni alternative, farvi comunicare in tempo reale con l'altro emisfero, inviare progetti quando siete in metrò fuori città, correggere bozze di lavoro, giocare con i vostri figli ecc. Una piccola evoluzione e ci potremmo far anche trasportare. Basterà, come accennato, inventare un sistema di trasporto a bassa emissione nei prossimi vent'anni. Questa è sicuramente una questione cruciale.
Ma ce n'è un'altra, non meno cruciale: la nostra società riuscirà a venire a patti con l'idea che tutto quanto ci circonda contiene un chip, considerate tutte le potenziali implicazioni Orwelliane di questa situazione? Immaginando di dare risposte affermative possiamo completare le osservazioni iniziate sopra, e stimare che per viaggiare (uno degli aspetti più importanti della contemporaneità) si useranno soprattutto veicoli privati a bassa emissione, controllati da un sistema computerizzato. Tutti noi possiederemo un taccuino biometrico in modo da controllare costantemente la nostra salute e tutti gli oggetti che ci circondano comunicheranno con altri oggetti.
Per la società questo è immancabilmente un modello che permette di consumare 24 ore al giorno e, secondo noi, questo modello determinerà un consistente accumulo di persone nei centri urbani che attrarranno gli individui con tutto quanto ha da offrire la linda città in rete. E' estremo? Un po'. Ma molto di tutto questo succede già! Mancano solo alcuni dettagli e nel frattempo che si sistemeranno, alcune di queste citate diventeranno banali convenzioni.
E probabilmente nessuno si interesserà più a chi andrà ad abitare in centro.....


MP

sabato 14 novembre 2009

_e

Città globali. Spazi pubblici. Situazioni globali ricorrenti. Informalizzazione.
















Due immagini: una fotografia del Central Park di New York (progettato da Olmstead) ed il modello della Ville Radieuse alla Fondazione Le Corbusier, di Le corbusier, appunto. Osservate insieme, le due immagini offrono un forte senso del tipo di spazio urbano lasciatoci in eredità dai tempi moderni. Ai designer che lavorano sullo spazio pubblico del nostro tempo esse offrono una specie di codice genetico. In entrambe il primo piano assume la forma di uno scenario naturalistico dal quale emergono, all'orizzonte le sagome degli edifici alti e dei grattacieli. E' come se gli alberi alimentassero i grattacieli - è questa un'idea neopittoresca che sfoca i confini dell'architettura e del paesaggio-. Convincente. E utile.
Mentre i modelli storici di spazio pubblico supportavano narrazioni legate alla religione o alla giustizia o alla potenza militare, questo spazio o rappresenta alcun tipo speciale di potere. La sua natura è tale che ci consente di isolarci, di evitare il contatto sociale. I più interessanti spazi pubblici creati nei decenni scorsi indagano sempre questa idea dell'individuo isolato nel mezzo di un ambiente gremito.
L'inserimento di ambienti di tal genere in qualsiasi progetto di ricostruzione urbana è un requisito assolutamente essenziale per il loro successo Allorchè nel mezzo di un contesto gremito si realizzi un luogo vuoto, un luogo senza programma, il successo dell'intera area è garantito. Naturalmente dobbiamo avere una certa dimestichezza con l'elemento "vuoto", che come sappiamo è il materiale principale che utilizza il designer. Un esempio vissuto di recente: San Sebastian in Spagna. Viene collocata in un angolo di una delle più popolari spiagge spagnole una scultura di Chillida (.......non ne possiamo più di sentirvi dire "chi è?"....è uno dei grandi scultori della nostra epoca!).
In quella parte di spiaggia non vi era praticamente nulla, ma dopo la realizzazione dell'installazione (land art....) cominciarono ad apparire nuovi edifici e nuovi modi di utilizzare la città. Il bisogno di isolamento non è una questione di gusto. E' una qualità che ora, in maggiore o minore misura, tutti inseguono. In passato cercavamo lo spazio per incontrare gli altri, oggi, con il telefono cellulare, la rete, l'accresciuta mobilità, siamo esposti a così tanti contatti sociali che il bisogno di tranquillità diventa preminente.
Questo è una di quelle situazioni globali ricorrenti a cui ci siano riferiti nelle riflessioni fatte fin precedenza.

Un tempo lo spazio pubblico rivestiva un altro ruolo: era luogo di rappresentanza politica. Ma nel momento in cui hanno scoperto la televisione i politici hanno abbandonato completamente lo spazio pubblico. Giustamente. Alla degenerazione dell'idea storica di spazio pubblico ha contribuito anche la comparsa di ambienti ibridi (....non luoghi?) quali i centri e le gallerie commerciali, spazi chiusi ad alcuni segmenti sociali, anche se esistono catene di supermercati di indirizzo economico che, per certi versi, li sostituiscono. Ma sempre in quella direzione andiamo. Pensiamo che gli spazi introspettivi siano sempre di più gli unici ambienti che riescono a comunicare un senso di verità, di semplicità naturale (dal Tao e lungi dall'essere un concetto semplice) alla nostra società.
Possiamo dire che il ruolo rappresentativo dello spazio pubblico si è spostato da un ideale collettivo ad un ideale individuale. E non stiamo parlando di progettare pensando una nuova tipologia di piazza. Stiamo semplicemente parlando di non progettarne più. Infatti, se ci fate caso, la grande maggioranza dei concorsi di architettura nel nostro paese riguarda la "reinvenzione" di piazze esistenti scivolate nell'oblio. E questo, ma è un pensiero mio, lo considero un peccato. Infatti frequentemente le ragioni dell'oblio sono legate a scelte di vincolo e normative che ne hanno impedito il fisiologico adattamento alle nuove condizioni al contorno. E così il cerchio si chiude.
Una coniugazione interessante che ci piace dare a questa evoluzione e che ne continua, in parte, la memoria collettiva (per buona pace di alcuni..), è l'applicazione di una tipica ideologia globale, quella della realizzazione di spazi pubblici secondo principi (virtuosi) di sostenibilità. Esistono molti modi di interpretare il concetto di memoria. Alcuni, i più banali, si sono diffusi come le erbe infestanti nel bel prato all'inglese della cultura di massa, con risultati imbarazzanti. Altri, come quello accennato, un po' più frizzanti e portatori di quella necessaria capacità relazionale che ogni progetto contemporaneo deve possedere per avere un minimo di espressività e di senso.
Ma non allontaniamoci troppo. Oggi si voleva parlare di spazi pubblici.


MP



venerdì 13 novembre 2009

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E' complessa la realtà contemporanea? Mha, forse. Di sicuro è incomprensibile ad una persona superficiale.
Ed è inquietante per chi superficiale non lo è..............e questo è bello. E' vivo. Faticoso. Ci piace.

Oggi un numero sempre crescente di di spazi urbani è inserito all'interno del sistema globale e digitale. Un caso esemplare per definizione è quello del centro finanziario, che è collegato molto di più con i mercati finanziari globali che con l'economia della città o del paese in cui ha sede. Su una scala molto diversa, ma percorrendo la stessa strada, non passerà molto tempo prima che un gran numero di residenti urbani cominci a percepire la sfera "locale" come una specie di microambiente con portata globale; siamo certi di questo anche se sussistono molti bizzarri ostacoli al naturale fluire delle cose, specialmente nel "bel paese". Questo sviluppo coinvolgerà tutti, anche attori poveri e persino marginali. Questo risultato, questo particolare "effetto" potrà essere di beneficio per lo spazio urbano (se ci pensate bene, anche se in scala ridotta, già è così) in quanto almeno una parte di ciò che continuiamo a rappresentare e a vivere come qualcosa di locale - che ne so...........un edificio, l'amata piazza (....mamma mia la piazza!), un nucleo famigliare, un'organizzazione culturale che abbiamo fondato con degli amici nel quartiere, ecc - avrà una sua collocazione non soltanto nel luogo concreto in cui lo vediamo, ma anche sulle reti digitali che si espandono su tutto il globo. Un crescente numero di entità ubicate nelle città globali si sta collegando con altre entità analoghe in città vicine e lontane. Questo vuol dire luoghi contaminati.

Che cosa significa per una città contenere una proliferazione di questi uffici, di queste famiglie o di queste organizzazioni orientate verso la dimensione globale eppure molto localizzate, radicate? E qual'è il significato del "contesto" in tali condizioni? Il centro finanziario di una città globale, o la sede degli attivisti per i diritti dell'uomo non sono orientati verso ciò che li circonda fisicamente, ma verso prospettive globali, mondiali in senso letterale. Nella sua versione più estrema. la città diventa uno straordinario amalgama di molteplici frammenti colorati, posizionati su diversi circuiti transurbani. Poichè le Città e le Regioni urbane vengono sempre di più attraversate da circuiti non locali, inclusi quelli globali (ma non solo), molto di ciò che percepiamo come locale in quanto "situato nel nostro luogo, nel luogo che conosciamo" non è necessariamente tale nel senso tradizionale del termine.
Ciò da vita a un particolare insieme di interazioni nel rapporto della città con la sua topografia urbana. La nuova spazialità urbana così prodotta è parziale in un modo doppio:
a) rende conto soltanto in parte di ciò che accade nelle città e di ciò che, diciamo così, riguarda alla città;
b) abita soltanto parte di quello che potremmo considerare lo spazio della città, sia che si concepisca quest'ultimo come ambito amministrativo della città stessa, sia che lo si intenda nel senso dei vari tipi di "immaginario" presenti nei diversi settori della popolazione cittadina( ricordate la folla festosa quando il neoeletto sindaco dichiarò che " qui non si farà mai nessuna metropolitana...", ecco stiamo parlando di quegli immaginari collettivi..)
Se però pensiamo che lo spazio sia produttivo e che renda possibili nuove configurazioni, allora questi sviluppi doppi e parziali segnalano una meravigliosa molteplicità di possibilità. Questa idea ci porta ad una osservazione. Potrebbe essere che proprio ciò che manca (.......l'hub di transportation che origina il workshop ad esempio...) nella topografia urbana si riveli fonte di un nuovotipo di potenziale "intercittà"? In un'epoca nella quale un sempre maggiore numero di persone, di opportunità economiche, di problemi sociali, di opzioni politiche si concentra nelle città, per avere un'idea sia pur vaga di cosa è la realtà che ci circonda dobbiamo indagare in quale modo i governi urbani possano operare internazionalmente al fine di promuovere una sorta di governo globale. E per fare questo in modo minimamente sensato si deve ipotizzare che le città, o più precisamente reti internazionali di città, dovranno contribuire al lavoro del governo globale e farlo in modo attivo, senza stravolgimenti di tipo burocratico o politico, ma seguendo in modo fisiologico lo sviluppo dell'esigenza primaria della nostra epoca che è la comunicazione delle informazioni. Questo deve avvenire per almeno due ragioni:
1) la prima riguarda il fatto che nelle città troviamo concentrata una crescente parte di quasi tutte le componenti fondamentali delle nostre architetture politiche e sociali, fra cui importanti componenti organizzative dell'economia globale.
2) la seconda ragione è che la maggior parte delle principali dinamiche globali attraversa le città, in alcuni casi soltanto temporaneamente, in altri casi in modi e usi più durevoli.
Le grandi aziende globali hanno ancora bisogno delle imponenti concentrazioni di risorse specializzate ed ultramoderne che soltanto la città può riunire e, come sappiamo ora, anche le reti del terrorismo globale organizzato necessitano di varie risorse, fra cui una è l'anonimia che la città può offrire. Comunque, per non turbare i più delicati, nella città contemporanea e nella sua più prossima evoluzione, queste dinamiche tendono a raggrupparsi in modi che non sono possibili in altro tipo di luogo. Ciò rende la città un sito, meglio un luogo, enormemente concreto e, a sua volta, rende concreti e più leggibili molti di tali processi globali. Immaginate allora una rete di città con queste caratteristiche. Capite subito che queste condizioni possono agevolare molto il lavoro di un governo globale. Anzi, probabilmente è l'unico modo che c'è per gestirle in modo adeguato.

Ma c'è un più ampio paesaggio entro il quale possiamo comprendere la possibilità delle città di contribuire al governo globale. Storicamente le città sono state il luogo di molte delle nostre migliori innovazioni politiche (il "belpaese" ha una storia invidiata in merito a ciò che ognuno di voi conosce perfettamente), fra cui gli ideali civici e la cittadinanza (concetto poi molto esteso). Ora noi stiamo vivendo una fase di transizioni che ecessariamente richiederanno un rinnovamento del senso di ciò che dovrà essere politico, di più, direi che necessita una evoluzione della sfera d'azione della politica e del concetto di cittadinanza. Il sistema politico formale è sempre meno capace di affrontare le problematiche che stanno diventando sempre più quelle fondamentali che ci troviamo a vivere quotidianamente; tra queste problematiche le più importanti sono quelle che abbiamo discusso nei paragrafi precedenti e che riguardano il potere e la globalità dei principali attori economici, universo in grande fermento e costante evoluzione (non state a sentire i politici nostrani, per cortesia..). Molte di queste sfide - o almeno una parte consistente della loro traiettoria - avviengono nelle città. I residenti e le autorità urbane dovrebbero partecipare allo sforzo necessario per far fronte alle sfide di governo che insorgono in questo, ebbene si!, nuovo contesto sociale globale. Attenzione: molto di ciò che riteniamo e definiamo globale, si materializza di fatto nelle città e nelle geografie "intercittà" prodotte dalla globalizzazione economica, culturale e politica. Dovete riconoscerlo ed imparare a consideralo materiale utile al designer.
I molteplici circuiti specializzati che costituiscono queste "geografie intercittà", sono in realtà i ritrovi della poltica "intercittà". Non si tratta di un "ONU delle città", si tratta invece di far scendere il globale al livello del suo momento urbano concreto e di riconoscere in quale misura le specifiche sfide di una città possano essere presenti in alcune o molte delle altre città. Queste sfide coprono una gamma sempre più ampia di problematiche economiche, culturali e politiche e persino alcuni tipi di violenza armata che pensavamo possibili solo su campi di battaglia formali! I residenti e le autorità delle città sono abituati ad affrontare situazioni concrete.

Il ricorrere, il ripresentarsi sempre più frequente, di particolari situazioni globali in alcune (ma sempre in numero maggiore) città, fornisce una piattaforma incorporata per una gestione transfrontaliera di tali situazioni globali. Sia chiaro: la maggior parte di ciò che la città deve affrontare rimarrà un problema "domestico". Tuttavia, nelle città sta approdando un numero sempre crescente di quelle che abbiamo chiamato "situazioni globali"; sono queste evenienze che una gestione "intercittà" può aiutare a governare. "Intercittà" diventa un sistema operativo tipo linux, adeguato a tutte le piattaforme e con incredibili potenzialità per ogni coniugazione che se ne fa. Ciò non significa che sia necessario sostituire il governo nazionale e sopranazionale (cerchiamo di capirci...non significa buttare il pc...anche se io lo consiglio), ma significa cogliere le particolari situazioni urbane che hanno un ruolo sempre più rilevante nelle dinamiche del nostro tempo. E le situazioni urbane non sono più legate al "campanile". Voi dovete capirlo. Non c'è niente di drammatico o di pauroso. E' così e basta.
E' molto peggio averne paura e cercare di "trattenerlo" o "controllarlo". Come facevano i cinesi nell'antichità, che per non perdere le donne del gruppo gli fasciavano i piedi in modo che non si sviluppassero normalmente e loro non potessero scappare. Il risultato era ottenuto a discapito di uno storpio creato. Se non lasciamo che la globalizzazione contamini in modo spontaneo le nostre vite, lasciandone il controllo ai naturali anticorpi, non otterremo delle città migliori, ma solo deformi. Ad un importante meeting un assessore mi disse"......ma cosa vuole arch. la gente nella nostra città è fatta così, non vuole edifici alti! E noi non facciamo costruire edifici alti........"
Va bè.....

MP

martedì 10 novembre 2009

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La condizione urbana contemporanea ha una peculiarità: quella di essere carica di sfide.
E le sfide ci piacciono. Se consideriamo poi che è una condizione, diciamo così, "lievemente sregolata", allora le sfide ci piacciono ancora di più.

Pensiamo un attimo, ad esempio, ad un aspetto di fondamentale importanza, sia in passato sia oggi, della situazione urbana (Leon Battista Alberti docet): la giustapposizione, la "convivenza", di dimensioni molto grandi con numerosissimi spazi interstiziali. Le città su cui ci stiamo concentrando e le loro sempre più emergenti geografie "intercity" (cioè di progressiva fusione sia fisica che virtuale; sia per tempi lenti sia per tempi veloci, richiamandoci a quanto scritto precedentemente), sono spazi con strutture imponenti, mercati imponenti e, in generale, capacità creative ed economiche imponenti. Potremmo chiederci quali scelte, questi tipi di spazio urbano, possano mai offrire a designer, urban planner ed architetti in modo che esse riescano, originalmente e sensatamente, a far esprimere gli interessi, le ambizioni i sogni di chi vive quegli spazi. Il problema, nel caso in questione, non riguarda tanto i pochi designer, eccezionali o fortunati, che conquistano il palcoscenico globale nel loro campo specifico; riguarda, piuttosto, un più diffuso paesaggio urbano. Un paesaggio caratterizzato da opportunità di "fare" entro spazi urbani dominati da strutture imponenti ed attori dotati di molto potere. Non è al design, al progetto in sè che pensiamo, ma alla più ampia economia politica del design all'interno delle città che fanno parte di queste nuove geografie globali, impostate su un'organizzazione analoga a quella della rete. Che cosa è allora questo paesaggio al cui interno il designer (in tutte le coniugazioni) deve oggi operare?
Vi sono chiaramente diversi modi di postulare le sfide che l'architettura e la progettazione urbanistica si trovano ad affrontare sul piano sia della teoria sia della pratica. Riconosciamo che la scelta di dare risalto all'importanza della città globale per l'architettura definisce un problema che non è solo congetturale, ma che, inevitabilmente, è anche parziale. Ma noi crediamo che la società percorrerà questa strada evolutiva.

Una delle conseguenze prodotte dai modelli sopra descritti è l'ascendente, in parte oggettivo e forse soprattutto soggettivo, del processo e del lusso sulla fissità e sul luogo. Le velocità crescenti fanno sì che una sempre più ampia gamma di esperienza urbane sia una realtà di flussi piuttosto che di cose, nonostante la grande quantità di materialità che ci circonda. Ma non lasciatevi confondere. Non lasciamoci confondere. Uno degli obiettivi di CONNECTION è quello di "smascherare" la realtà della globalizzazione e della digitalizzazione della Vita da parte di un'umanità sempre più dotata di capacità tecnologiche di sopravvivenza ma, altresì, sempre più distratta da queste. Ci interessa (ri-)trovare la fissità e la materialità sottese a una gran parte del globale e del digitale, offuscate dalla convinzione dominante che tutto sia diventato flusso. E, di conseguenza, dare un volto sano e fisiologico al concetto stesso di flusso, così importante per capire chi siamo e cosa stiamo facendo.
Noi sappiamo che la globalizzazione delle attività e dei flussi dipende, in buona misura, da una vasta rete di luoghi, costituiti soprattutto dalle città globali. Tali siti hanno al loro interno molti tipi di risorse fisse (e di risorse mobili). Le cose e la materialità sono fondamentali per la digitalizzazione e la globalizzazione, ed i luoghi sono importantissimi per i flussi globali. Queste città, nel momento stesso in cui proliferano i progetti imponenti, racchiudono comunque moltissimi spazi sottoutilizzati, spesso caratterizzati più dalla memoria che da un significato attuale. Gli spazi fanno parte dell'interiorità della città e, tuttavia, rimangono esterni ai suoi schemi spaziali ed alla sua logica organizzante basata sul principio dell'utilità. Si tratta di "terrains vagues", che consentono a molti residenti di collegarsi alle città in rapida trasformazione nelle quali vivono e di bypassare soggettivamente le imponenti infrastrutture che, in tali città, hanno finito con il sovrastare un numero sempre crescente di spazi. Buttarsi su questi terrains vagues per massimizzare lo sviluppo della proprietà immobiliare è, secondo noi, un errore. Non per avversioni convenzionali o politiche nei confronti della imprenditoria. Anzi.
L'idea è che mantenere parte di questa apertura potrebbe avere più senso in termini di fattorizzazione delle opzioni future, in un momento in cui le logiche dell'utilità cambiano con tanta rapidità e spesso con violenza (vedi la crisi economica mondiale attuale e l'eccesso di grattacieli occupati da uffici vuoti).

Ciò apre un dilemma rilevante sull'attuale situazione urbana e lo apre in modi ed attraverso concetti che la portano al di là delle nozioni più trasparenti di architettura sostenibile, high tec, di spazi virtuali, simulacri, parchi a tema ecc. Sia chiaro, tutti questi sono temi importanti, ma vorrei che voi capiste bene che sono comunque solo frammenti di un puzzle incompleto. C'è un tipo di situazione urbana che abita tra la realtà delle strutture "imponenti", chiamiamole così, e la realtà dei luoghi semi-abbandonati; è quel "tipo" di situazione urbana che moltissimi di voi conoscono bene in quanto frequentatori assidui della linea ferroviaria Rimini - Bologna - Milano oppure della Bologna - Padova . Venezia, e si divertono a guardare fuori dal finestrino. Noi crediamo che questo "paesaggio" sia centrale nell'esperienza dello spazio urbano contemporaneo, che sia dotato di una eccitante qualità intrinseca che definirei "sfuggente" e che renda leggibili ( e predisponga) le transizioni e gli stravolgimenti di specifiche configurazioni spazio-temporali che semplicemente non servono più e devono essere sostituite; ad alcune di queste abbiamo accennato alcune pagine indietro.

L'aspetto di questa realtà che più ci interessa, al quale il workshop CONNECTION vorrebbe dare un volto più riconoscibile, è il lavoro necessario a catturare questa "qualità sfuggente" che le città producono e rendono leggibile.
E' un lavoro non facilmente attuabile con mezzi convenzionali. Innanzitutto perchè le logiche dell'utilità non servono.
Le ragioni della trasformazione in atto non sono legate a concetti di aumento del reddito bensì a concetti di qualità della Vita.
Quindi più capacità di interpretare le emozioni, la fisica e la biologia che la "ragion pura", per intenderci.
Ed è per questo motivo che abbiamo sempre cercato di suggerirvi il carattere artistico delle professioni in gioco (designer di architettura, urbano ecc.), in quanto crediamo che non si possa fare a meno di pensare che sarà proprio la componente artistica del processo creativo a fornire le risposte più interessanti ed utili a comprendere il "quesito" implicito di "qualità sfuggente" a cui facciamo riferimento, ed a evidenziarne i toni ed i caratteri più dinamici e morfogenetici.
Saranno pubbliche performance, installazioni site-specific, nuovi esempi di "scultura-pubblica"riferite alla comunità locale oppure opere relazionali collegate a fenomeni di nomadismo ecc. che vedremo nel futuro delle nostre città, organizzate e strutturate secondo schematizzazioni urbanistiche "morbide" ed adattabili, con molti gradi di libertà per effetto delle quali la "qualità sfuggente" dei luoghi "cuscinetto", presenti nella nostra realtà tra quelli semi-abbandonati e quelli "imponenti", assumerà un volto, un corpo ed un'anima.
Naturalmente, va da sè, le pratiche architettoniche e urbanistiche, si collocano anch'esse in spazi improbabili. Vi è una straordinaria varietà di spazi con queste caratteristiche. Un esempio è quello delle intersezioni di molteplici reti di trasporto e di comunicazione, nelle quali ad occhio nudo o secondo criteri "ingegneristici" non si scorge nessuna forma e nessuna possibilità di forma, e si scorgono solo pure infrastrutture ed il loro uso necessario. Un altro esempio sono quegli spazii in cui è indispensabile un grande sforzo per riuscire a intravedere possibili architetture future, in quanto ora c'è (semplicemente!) un silenzio formale, una non-esistenza, uno spazio, quindi, che ha grandi affinità con il "terrain vague". M raccomando, non sto parlando di un ambiente grandioso che diventa magnifico per le vaste proporzioni del suo degrado, come può accadere nel caso di un vecchio porto industriale in disuso. No, sto parlando di paesaggi "troppo lenti" per essere visti. In aggiunta alle altre forme di lavoro che essi rappresentano, l'architettura ed il design urbano possono funzionare come importanti pratiche artistiche che, spingendosi ben oltre ciò che viene rappresentato da concetti quali il theme-parking o gli approcci ad una sostenibilità politica della città, ci consentono di catturare qualcosa di questa elusiva ed intrigante qualità urbana.

Abbiamo già indagato insieme, durante le attività svolte nel Corso, quali sono gli elementi che possono "accettare" di essere analizzati con innovativo spirito critico al fine di proporre interessanti spunti di riflessione. Sicuramente uno di questi è lo spazio pubblico. Perdiamoci qualche istante.
La creazione e l'ubicazione (mi raccomando cercate di capire e ricordare che queste due condizioni viaggiano sempre insieme!) dello spazio pubblico è una delle lenti con cui è possibile penetrare in questi tipi di problematiche. In questo momento storico stiamo vivendo una piacevolissima crisi dello spazio pubblico, derivante dalla sua commercializzazione, privatizzazione, theme-parking ed incongruente disponibilità delle pubbliche amministrazioni a non considerarne l'inutilità in caso di applicazioni "cerotto".
I grandiosi spazi "statali" monumentalizzati, soprattutto in quelle che un tempo sono state città riferimento per grandi e piccoli imperi (di cu l'Italia è un caso straordinario ed unico di diffusione - dalle città/repubbliche agli stati feudali, agli attuali Comuni ecc.) dominano la nostra esperienza dello spazio pubblico. Non viene quasi mai sottolineato che è l'uso particolare che ne viene fatto che li rende tali.
Pubblici appunto. Ma che dire della effettiva "creazione" di nuovi spazi pubblici nelle nostre città complesse, sia mediante interventi architettonici sia mediante pratiche d'uso degli utilizzatori?
Lo spazio accessibile al pubblico è una risorsa importantissima e tale spazio ci è necessario in quantità sempre maggiore.
Ma, per cortesia, non assecondiamo la troppo numerosa pletora di Assessori e di Sedicenti "esperti tecnici" delle nostre amministrazioni pubbliche i quali non fanno altro che confondere quotidianamente il concetto di spazio accessibile al pubblico con quello di pazio pubblico! Infatti - ricorderete quante volte ne abbiamo accennato - quest'ultimo, per essere tale, ha bisogno di essere creato mediante le pratiche d'uso e le soggettività complesse degli individui; è attraverso il manifestarsi delle loro pratiche che gli utilizzatori dello spazio finiscono col creare i vari tipi di "dimensione pubblica". Ed ecco quindi che ritorna con grande forza l'importanza di "saper leggere" la realtà in modi accurati ed approfonditi, cioè quelli che dovranno permettere al designer di cogliere il senso profondo del nuovo "fare" (dei nuovi "fare") attuati dagli individui attraverso pratiche informali in economie sempre più informali e con tutte le loro complesse interazioni.

Un secondo elemento che ci interessa analizzare è il cosiddetto "carattere politico" della città contemporanea. Infatti, un aspetto importante della "grande città complessa", soprattutto se globale, soprattutto se vivace, se articolata e disponibile a crescere, è il suo essere una specie di nuova "zona di frontiera" nella quale converge un'enorme mescolanza di persone. In queste condizioni, in città di questo genere coloro che non hanno potere, coloro che partono da condizioni svantaggiate, gli estranei o le minoranze discriminate, possono conquistare una presenza , una presenza di fronte al potere, una presenza "dell'uno di fronte all'altro". Ciò segnala, in particolare, un possibile nuovo tipo di politica, incentrata attorno a nuovi tipi di attori politici. Non si tratta solamente di avere o non avere potere; con queste nuove condizioni al contorno ci sono nuove basi ibride di cui tenere conto nel proprio agire, ed anche settori altrimenti statici per tradizione culturale, subiscono trasformazioni sia d'uso che teoriche impensabili solo cinquanta anni fa (ad es. le nuove teorie economiche di Amartya Sen , per il quale lo sviluppo economico non coincide più con un aumento del reddito ma con un aumento della qualità della vita. Ed è proprio l'attenzione posta sulla qualità, più che sulla uantità, a caratterizzare gli studi di questo economista ed a portarlo al Nobel x l'economia del '98).
L'ambito della città è uno spazio molto più concreto per la politica di quanto lo sia la nazione; diviene un luogo nel quale gli attori politici NON FORMALI possono partecipare alla scena in un modo che risulterebbe impensabile a livello nazionale. La politica nazionale ha bisogno di passare per i sistemi formali esistenti, quali il sistema politico elettorale o quello giudiziario; gli attori politici non formali sono resi invisibili nello spazio della politica nazionale. Le città, al contrario, possono ospitare una vasta gamma di attività politiche. Gran parte delle dimostrazioni, delle rimostranze, delle politiche culturali e identitarie, sono visibili nella strada; molta politica urbana è concreta, è inscenata dalla gente più che dipendere dalle poderose tecnologie dei media.
La grande città di oggi, soprattutto la città globale, emerge come sito strategico per questi nuovi tipi di operazioni. E' un sito strategico per il capitale globale delle grandi aziende, ma è anche uno dei siti in cui nascono ed assumono forme concrete nuove esigenze e rivendicazioni attuate da attori politici informali.

Un terzo elemento riguarda il rapporto di queste città con le caratteristiche rappresentazioni topografiche urbane di cui continuiamo a servirci. Se ci pensate bene, i tipi di aree di sviluppo urbano a cui abbiamo fatto riferimento quando parlavamo di "terrain vague" e della loro "qualità sfuggente", possono essere catturati solo in parte con le tradizionali rappresentazioni topografiche e grafiche in generale, delle città. Questo non è un problema nuovissimo, ma si è accentuato a conseguenza delle condizioni di vita attuali. Così, se una descrizione grafica classica, può rendere visibile il momento globale allorchè esso si materializza nello spazio urbano, tale descrizione mette in ombra le sottostanti connessioni tra lo spazio globalizzato e le economie informali di cui abbiamo parlato più sopra.
Le comunità di immigrati e le sempre più ampie township, che sono uno dei siti delle nuove economie informali collegate all'economia globale avanzata, verrebbero rappresentate (quando rappresentate) come una presenza marginale rispetto al tutto. In secondo luogo le descrizioni grafiche classiche non catturano assolutamente la veloce moltiplicazione delle geografie "intercittà" che collegano spazi specifici delle città quali le reti di centri finanziari o le reti di centinaia di filiali di aziende globali o le infrastrutture specializzate che congiungono alcune migliaia di edifici sparsi in tutto il mondo. Nè tali descrizioni grafiche catturano la città informale come sito delle imprese e delle famiglie transnazionali o delle nuove e sempre mutevoli reti di artisti e di aziende dei nuovi media. Nè tali descrizioni grafiche classiche sono in grado di catturare le "migrazioni" quotidiane dei soggetti che praticano attività informali legate alle comunicazioni o all'informazione i quali, in modo sistematico, modificano sostanzialmente al percezione del paesaggio e di quel senso di qualità della vita all'interno della città che andiamo cercando.

CONNECTION cercherà, attraverso idee, vostre idee, di individuare nuovi possibili "descrizioni" delle città da utilizzare per capirle meglio e cercherà di evidenziare cosa sarà necessario sapere e conoscere per viverle con maggior consapevolezza e qualità.
Sia pur sfuggente......

MP