martedì 10 novembre 2009

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La condizione urbana contemporanea ha una peculiarità: quella di essere carica di sfide.
E le sfide ci piacciono. Se consideriamo poi che è una condizione, diciamo così, "lievemente sregolata", allora le sfide ci piacciono ancora di più.

Pensiamo un attimo, ad esempio, ad un aspetto di fondamentale importanza, sia in passato sia oggi, della situazione urbana (Leon Battista Alberti docet): la giustapposizione, la "convivenza", di dimensioni molto grandi con numerosissimi spazi interstiziali. Le città su cui ci stiamo concentrando e le loro sempre più emergenti geografie "intercity" (cioè di progressiva fusione sia fisica che virtuale; sia per tempi lenti sia per tempi veloci, richiamandoci a quanto scritto precedentemente), sono spazi con strutture imponenti, mercati imponenti e, in generale, capacità creative ed economiche imponenti. Potremmo chiederci quali scelte, questi tipi di spazio urbano, possano mai offrire a designer, urban planner ed architetti in modo che esse riescano, originalmente e sensatamente, a far esprimere gli interessi, le ambizioni i sogni di chi vive quegli spazi. Il problema, nel caso in questione, non riguarda tanto i pochi designer, eccezionali o fortunati, che conquistano il palcoscenico globale nel loro campo specifico; riguarda, piuttosto, un più diffuso paesaggio urbano. Un paesaggio caratterizzato da opportunità di "fare" entro spazi urbani dominati da strutture imponenti ed attori dotati di molto potere. Non è al design, al progetto in sè che pensiamo, ma alla più ampia economia politica del design all'interno delle città che fanno parte di queste nuove geografie globali, impostate su un'organizzazione analoga a quella della rete. Che cosa è allora questo paesaggio al cui interno il designer (in tutte le coniugazioni) deve oggi operare?
Vi sono chiaramente diversi modi di postulare le sfide che l'architettura e la progettazione urbanistica si trovano ad affrontare sul piano sia della teoria sia della pratica. Riconosciamo che la scelta di dare risalto all'importanza della città globale per l'architettura definisce un problema che non è solo congetturale, ma che, inevitabilmente, è anche parziale. Ma noi crediamo che la società percorrerà questa strada evolutiva.

Una delle conseguenze prodotte dai modelli sopra descritti è l'ascendente, in parte oggettivo e forse soprattutto soggettivo, del processo e del lusso sulla fissità e sul luogo. Le velocità crescenti fanno sì che una sempre più ampia gamma di esperienza urbane sia una realtà di flussi piuttosto che di cose, nonostante la grande quantità di materialità che ci circonda. Ma non lasciatevi confondere. Non lasciamoci confondere. Uno degli obiettivi di CONNECTION è quello di "smascherare" la realtà della globalizzazione e della digitalizzazione della Vita da parte di un'umanità sempre più dotata di capacità tecnologiche di sopravvivenza ma, altresì, sempre più distratta da queste. Ci interessa (ri-)trovare la fissità e la materialità sottese a una gran parte del globale e del digitale, offuscate dalla convinzione dominante che tutto sia diventato flusso. E, di conseguenza, dare un volto sano e fisiologico al concetto stesso di flusso, così importante per capire chi siamo e cosa stiamo facendo.
Noi sappiamo che la globalizzazione delle attività e dei flussi dipende, in buona misura, da una vasta rete di luoghi, costituiti soprattutto dalle città globali. Tali siti hanno al loro interno molti tipi di risorse fisse (e di risorse mobili). Le cose e la materialità sono fondamentali per la digitalizzazione e la globalizzazione, ed i luoghi sono importantissimi per i flussi globali. Queste città, nel momento stesso in cui proliferano i progetti imponenti, racchiudono comunque moltissimi spazi sottoutilizzati, spesso caratterizzati più dalla memoria che da un significato attuale. Gli spazi fanno parte dell'interiorità della città e, tuttavia, rimangono esterni ai suoi schemi spaziali ed alla sua logica organizzante basata sul principio dell'utilità. Si tratta di "terrains vagues", che consentono a molti residenti di collegarsi alle città in rapida trasformazione nelle quali vivono e di bypassare soggettivamente le imponenti infrastrutture che, in tali città, hanno finito con il sovrastare un numero sempre crescente di spazi. Buttarsi su questi terrains vagues per massimizzare lo sviluppo della proprietà immobiliare è, secondo noi, un errore. Non per avversioni convenzionali o politiche nei confronti della imprenditoria. Anzi.
L'idea è che mantenere parte di questa apertura potrebbe avere più senso in termini di fattorizzazione delle opzioni future, in un momento in cui le logiche dell'utilità cambiano con tanta rapidità e spesso con violenza (vedi la crisi economica mondiale attuale e l'eccesso di grattacieli occupati da uffici vuoti).

Ciò apre un dilemma rilevante sull'attuale situazione urbana e lo apre in modi ed attraverso concetti che la portano al di là delle nozioni più trasparenti di architettura sostenibile, high tec, di spazi virtuali, simulacri, parchi a tema ecc. Sia chiaro, tutti questi sono temi importanti, ma vorrei che voi capiste bene che sono comunque solo frammenti di un puzzle incompleto. C'è un tipo di situazione urbana che abita tra la realtà delle strutture "imponenti", chiamiamole così, e la realtà dei luoghi semi-abbandonati; è quel "tipo" di situazione urbana che moltissimi di voi conoscono bene in quanto frequentatori assidui della linea ferroviaria Rimini - Bologna - Milano oppure della Bologna - Padova . Venezia, e si divertono a guardare fuori dal finestrino. Noi crediamo che questo "paesaggio" sia centrale nell'esperienza dello spazio urbano contemporaneo, che sia dotato di una eccitante qualità intrinseca che definirei "sfuggente" e che renda leggibili ( e predisponga) le transizioni e gli stravolgimenti di specifiche configurazioni spazio-temporali che semplicemente non servono più e devono essere sostituite; ad alcune di queste abbiamo accennato alcune pagine indietro.

L'aspetto di questa realtà che più ci interessa, al quale il workshop CONNECTION vorrebbe dare un volto più riconoscibile, è il lavoro necessario a catturare questa "qualità sfuggente" che le città producono e rendono leggibile.
E' un lavoro non facilmente attuabile con mezzi convenzionali. Innanzitutto perchè le logiche dell'utilità non servono.
Le ragioni della trasformazione in atto non sono legate a concetti di aumento del reddito bensì a concetti di qualità della Vita.
Quindi più capacità di interpretare le emozioni, la fisica e la biologia che la "ragion pura", per intenderci.
Ed è per questo motivo che abbiamo sempre cercato di suggerirvi il carattere artistico delle professioni in gioco (designer di architettura, urbano ecc.), in quanto crediamo che non si possa fare a meno di pensare che sarà proprio la componente artistica del processo creativo a fornire le risposte più interessanti ed utili a comprendere il "quesito" implicito di "qualità sfuggente" a cui facciamo riferimento, ed a evidenziarne i toni ed i caratteri più dinamici e morfogenetici.
Saranno pubbliche performance, installazioni site-specific, nuovi esempi di "scultura-pubblica"riferite alla comunità locale oppure opere relazionali collegate a fenomeni di nomadismo ecc. che vedremo nel futuro delle nostre città, organizzate e strutturate secondo schematizzazioni urbanistiche "morbide" ed adattabili, con molti gradi di libertà per effetto delle quali la "qualità sfuggente" dei luoghi "cuscinetto", presenti nella nostra realtà tra quelli semi-abbandonati e quelli "imponenti", assumerà un volto, un corpo ed un'anima.
Naturalmente, va da sè, le pratiche architettoniche e urbanistiche, si collocano anch'esse in spazi improbabili. Vi è una straordinaria varietà di spazi con queste caratteristiche. Un esempio è quello delle intersezioni di molteplici reti di trasporto e di comunicazione, nelle quali ad occhio nudo o secondo criteri "ingegneristici" non si scorge nessuna forma e nessuna possibilità di forma, e si scorgono solo pure infrastrutture ed il loro uso necessario. Un altro esempio sono quegli spazii in cui è indispensabile un grande sforzo per riuscire a intravedere possibili architetture future, in quanto ora c'è (semplicemente!) un silenzio formale, una non-esistenza, uno spazio, quindi, che ha grandi affinità con il "terrain vague". M raccomando, non sto parlando di un ambiente grandioso che diventa magnifico per le vaste proporzioni del suo degrado, come può accadere nel caso di un vecchio porto industriale in disuso. No, sto parlando di paesaggi "troppo lenti" per essere visti. In aggiunta alle altre forme di lavoro che essi rappresentano, l'architettura ed il design urbano possono funzionare come importanti pratiche artistiche che, spingendosi ben oltre ciò che viene rappresentato da concetti quali il theme-parking o gli approcci ad una sostenibilità politica della città, ci consentono di catturare qualcosa di questa elusiva ed intrigante qualità urbana.

Abbiamo già indagato insieme, durante le attività svolte nel Corso, quali sono gli elementi che possono "accettare" di essere analizzati con innovativo spirito critico al fine di proporre interessanti spunti di riflessione. Sicuramente uno di questi è lo spazio pubblico. Perdiamoci qualche istante.
La creazione e l'ubicazione (mi raccomando cercate di capire e ricordare che queste due condizioni viaggiano sempre insieme!) dello spazio pubblico è una delle lenti con cui è possibile penetrare in questi tipi di problematiche. In questo momento storico stiamo vivendo una piacevolissima crisi dello spazio pubblico, derivante dalla sua commercializzazione, privatizzazione, theme-parking ed incongruente disponibilità delle pubbliche amministrazioni a non considerarne l'inutilità in caso di applicazioni "cerotto".
I grandiosi spazi "statali" monumentalizzati, soprattutto in quelle che un tempo sono state città riferimento per grandi e piccoli imperi (di cu l'Italia è un caso straordinario ed unico di diffusione - dalle città/repubbliche agli stati feudali, agli attuali Comuni ecc.) dominano la nostra esperienza dello spazio pubblico. Non viene quasi mai sottolineato che è l'uso particolare che ne viene fatto che li rende tali.
Pubblici appunto. Ma che dire della effettiva "creazione" di nuovi spazi pubblici nelle nostre città complesse, sia mediante interventi architettonici sia mediante pratiche d'uso degli utilizzatori?
Lo spazio accessibile al pubblico è una risorsa importantissima e tale spazio ci è necessario in quantità sempre maggiore.
Ma, per cortesia, non assecondiamo la troppo numerosa pletora di Assessori e di Sedicenti "esperti tecnici" delle nostre amministrazioni pubbliche i quali non fanno altro che confondere quotidianamente il concetto di spazio accessibile al pubblico con quello di pazio pubblico! Infatti - ricorderete quante volte ne abbiamo accennato - quest'ultimo, per essere tale, ha bisogno di essere creato mediante le pratiche d'uso e le soggettività complesse degli individui; è attraverso il manifestarsi delle loro pratiche che gli utilizzatori dello spazio finiscono col creare i vari tipi di "dimensione pubblica". Ed ecco quindi che ritorna con grande forza l'importanza di "saper leggere" la realtà in modi accurati ed approfonditi, cioè quelli che dovranno permettere al designer di cogliere il senso profondo del nuovo "fare" (dei nuovi "fare") attuati dagli individui attraverso pratiche informali in economie sempre più informali e con tutte le loro complesse interazioni.

Un secondo elemento che ci interessa analizzare è il cosiddetto "carattere politico" della città contemporanea. Infatti, un aspetto importante della "grande città complessa", soprattutto se globale, soprattutto se vivace, se articolata e disponibile a crescere, è il suo essere una specie di nuova "zona di frontiera" nella quale converge un'enorme mescolanza di persone. In queste condizioni, in città di questo genere coloro che non hanno potere, coloro che partono da condizioni svantaggiate, gli estranei o le minoranze discriminate, possono conquistare una presenza , una presenza di fronte al potere, una presenza "dell'uno di fronte all'altro". Ciò segnala, in particolare, un possibile nuovo tipo di politica, incentrata attorno a nuovi tipi di attori politici. Non si tratta solamente di avere o non avere potere; con queste nuove condizioni al contorno ci sono nuove basi ibride di cui tenere conto nel proprio agire, ed anche settori altrimenti statici per tradizione culturale, subiscono trasformazioni sia d'uso che teoriche impensabili solo cinquanta anni fa (ad es. le nuove teorie economiche di Amartya Sen , per il quale lo sviluppo economico non coincide più con un aumento del reddito ma con un aumento della qualità della vita. Ed è proprio l'attenzione posta sulla qualità, più che sulla uantità, a caratterizzare gli studi di questo economista ed a portarlo al Nobel x l'economia del '98).
L'ambito della città è uno spazio molto più concreto per la politica di quanto lo sia la nazione; diviene un luogo nel quale gli attori politici NON FORMALI possono partecipare alla scena in un modo che risulterebbe impensabile a livello nazionale. La politica nazionale ha bisogno di passare per i sistemi formali esistenti, quali il sistema politico elettorale o quello giudiziario; gli attori politici non formali sono resi invisibili nello spazio della politica nazionale. Le città, al contrario, possono ospitare una vasta gamma di attività politiche. Gran parte delle dimostrazioni, delle rimostranze, delle politiche culturali e identitarie, sono visibili nella strada; molta politica urbana è concreta, è inscenata dalla gente più che dipendere dalle poderose tecnologie dei media.
La grande città di oggi, soprattutto la città globale, emerge come sito strategico per questi nuovi tipi di operazioni. E' un sito strategico per il capitale globale delle grandi aziende, ma è anche uno dei siti in cui nascono ed assumono forme concrete nuove esigenze e rivendicazioni attuate da attori politici informali.

Un terzo elemento riguarda il rapporto di queste città con le caratteristiche rappresentazioni topografiche urbane di cui continuiamo a servirci. Se ci pensate bene, i tipi di aree di sviluppo urbano a cui abbiamo fatto riferimento quando parlavamo di "terrain vague" e della loro "qualità sfuggente", possono essere catturati solo in parte con le tradizionali rappresentazioni topografiche e grafiche in generale, delle città. Questo non è un problema nuovissimo, ma si è accentuato a conseguenza delle condizioni di vita attuali. Così, se una descrizione grafica classica, può rendere visibile il momento globale allorchè esso si materializza nello spazio urbano, tale descrizione mette in ombra le sottostanti connessioni tra lo spazio globalizzato e le economie informali di cui abbiamo parlato più sopra.
Le comunità di immigrati e le sempre più ampie township, che sono uno dei siti delle nuove economie informali collegate all'economia globale avanzata, verrebbero rappresentate (quando rappresentate) come una presenza marginale rispetto al tutto. In secondo luogo le descrizioni grafiche classiche non catturano assolutamente la veloce moltiplicazione delle geografie "intercittà" che collegano spazi specifici delle città quali le reti di centri finanziari o le reti di centinaia di filiali di aziende globali o le infrastrutture specializzate che congiungono alcune migliaia di edifici sparsi in tutto il mondo. Nè tali descrizioni grafiche catturano la città informale come sito delle imprese e delle famiglie transnazionali o delle nuove e sempre mutevoli reti di artisti e di aziende dei nuovi media. Nè tali descrizioni grafiche classiche sono in grado di catturare le "migrazioni" quotidiane dei soggetti che praticano attività informali legate alle comunicazioni o all'informazione i quali, in modo sistematico, modificano sostanzialmente al percezione del paesaggio e di quel senso di qualità della vita all'interno della città che andiamo cercando.

CONNECTION cercherà, attraverso idee, vostre idee, di individuare nuovi possibili "descrizioni" delle città da utilizzare per capirle meglio e cercherà di evidenziare cosa sarà necessario sapere e conoscere per viverle con maggior consapevolezza e qualità.
Sia pur sfuggente......

MP

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