mercoledì 25 novembre 2009

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Mentre date fondo alle esplorazioni di territori sconosciuti al fine di suggerirci che siete meno sprovveduti di quanto noi pensiamo, approfondiremo un tema progettuale urbano di grande attualità: la modellazione del paesaggio.

E' un argomento che negli ultimi venti anni ha riscosso moltissima attenzione e curiosità, in quanto, quando ben svolto, ha sempre dato risultati sorprendenti sia in termini di qualità urbana sia in termini di qualità architettonica.

Per discuterne sfrutterò un'intervista a cui ho assistito durante una Biennale di Rotterdam ad un personaggio controverso, ma indiscutibilmente di grande spessore culturale; Zaha Hadid, per la quale lavora un'amica italiana che mi ha aiutato a capire meglio alcuni concetti espressi durante la conferenza.

Come mai Hadid per capire meglio la modellazione del paesaggio? Innanzitutto per il fatto che lei è convinta che un repertorio formale sia essenziale per l'urbanesimo. Personalmente affronto questo tema con acuto scetticismo ed il motivo è ben celato nella cattiva abitudine dell'accademia italiana di utilizzare tonnellate di concetti come "tipologia" e "impatto sul costruito" per imbastire qualsiasi riflessione formale sul paesaggio. Ma è un argomento indispensabile da affrontare. Ed ecco che scoprire l'interesse di Zaha Hadid a dar vita all'idea genertrice del progetto conformando il piano del suolo attraverso l'intaglio, l'implosione e l'esplosione, mi offre la possibilità di tirare un sospiro di sollievo e allontanare lo scetticismo patologico accumulato verso tutto ciò che è formale.
In particolare le analogie con quanto detto fino ad ora nelle altre mie comunicazioni, sono ben chiarite dalla condizione fondamentale che sta alla base di questa ricerca e cioè che la conformazione del piano del suolo non viene attuata per un semplice gesto formale ma esclusivamente come modo di affrontare la complessità del progetto, la componente sociale dell' architettura. Scoprire questo non solo mi ha fatto stare bene psicologicamente, ma mi ha tranquillizzato. Mi sono detto "un altro designer che la pensa come noi". Che crede che la soluzione dell'architettura e dell'urbanesimo contemporanei sia da ricercare nella complessità. Bene.

Il modernismo ignorava il suolo innalzando edifici sopra il suo livello e lasciando spazi aperti per il pascolo delle pecore!

Siamo convinti che si debba indagare il livello del suolo, studiarlo ed imparare a programmarlo come sede di eventi (come abbondantemente approfondito fino ad ora). La questione non è meramente formale: è programmatica. E' relazionale. E' landscape. E' land art.
Zaha Hadid, ad esempio, è dagli anni sessanta che sperimenta la collocazione di ampie strutture programmatiche al livello del suolo in modo da evitare che divengano una barriera. Fin dai primi progetti presso la AA di Londra e dalla programmazione della distribuzione dei terreni di Colonia o dal progetto dei Grand Buildings per la Londinese Trafalgar Square, per tutti i quali usò il concetto dell'intaglio come modalità di presentazione di molteplici eventi al livello del suolo.
Da lì nacque, per Lei, l'idea del suolo come entità pubblica porosa, in cui chiunque può spostarsi a suo piacimento. La forma ed il programma non possono essere scissi l'una dall'altro: la topografia li unisce. Per un designer di architettura è importante interrogarsi sul modo in cui la forma si rapporta al programma. Per Zaha Hadid è molto rilevante la griglia: questa consente l'esistenza di elementi diversi a livelli diversi. E', per i suoi sviluppi progettuali, una sorta di rete che interpreta nei modi più disparati. In un progetto per Istambul, di qualche anno fa ad esempio, collocato in un avvallamento urbano contenente una vasta area industriale in disuso nei pressi del mar di Marmara, si è cimentata con lo schema a griglia, creando catene montuose che si ergono alle intersezioni e configurando una rete distorta che muta e si addensa con il passar del tempo. Può iniziare come una distesa erbosa aperta, si può occupare sia la strada che la zona verde, si può occupare l'intero lotto o gli incroci su cui sorgono grattacieli a forma di stella ed edifici più bassi adibiti ad abitazioni o ad uffici. Una rete fluida che muta a seconda del tempo, del programma e dello spazio. Questa gradazione rende possibile un processo di composizione incompleta, in cui un progetto cresce in maniera organica con il passare del tempo, pur apparendo e risultando completo in ogni momento della sua evoluzione. Direi che il caso del MAXXI di Roma, di grande attualità, ne è un esempio eccellente in quanto consistente in edifici diversi e dà la sensazione di costituire un oggetto completo formato da tre, poi quattro poi cinque segmenti (se verranno come spero costruiti tutti........in Italia...).
Condividiamo un altro pensiero con la designer" iraquoinglese" e cioè che molti architetti nutrono un interesse indiretto per la città tradizionale e che ambiscono, invece, a poter trattare con la città globale. Forse, pensa la Hadid, si tratta di una reazione agli impatti negativi delle regolamentazioni urbanistiche, che hanno distorto tanti paesaggi urbani. Dovremmo distaccarci da queste logiche bidimensionali e riflettere sulla stratificazione di un singolo lotto. La stratificazione costituisce un sistema organizzativo che può diventare sempre più complesso via via che passa il tempo. Il suo potenziale aggiuntivo contribuisce a una nuova modalità di lettura e di intervento sulla città contemporanea.

A questo proposito ho memoria di una "Summer Session" che feci anni fa a Londra presso la AA come apprendista designer. Ci fu chiesto di attraversare Londra da est a ovest e poi da nord a sud e di disegnare ciò che vedevamo. Poi ricominciammo in senso diagonale da nord-est a sud-ovest e viceversa: una Londra all'infinito. Si doveva elaborare una sezione di questa linea ed analizzarne il "potenziale paesaggistico urbano" e quindi collocare in vari punti gli edifici che reputavamo necessari per la città. Attraverso quella lettura capivamo in che modo la città subiva un graduale mutamento nella sua sezione e quanto fossero "imprevisti" gli avvenimenti che si verificavano: per esempio, tutti i parchi sono allineati lungo uno di quegli assi. Ricorrendo ad una tecnica pittorica, individuammo ed isolammo i "villaggi urbani" di Londra che convergevano nella città, creando così una nuova immagine di Londra e del suo vero funzionamento. Questo processo mi ha chiarito in che modo la città potesse crescere; che poteva cioè espandersi verso est creando una nuova metropoli lungo il Tamigi che, all'incirca quanto sta avvenendo adesso, a quasi venticinque anni di distanza (!!).

Per mia "necessità culturale" ho riapplicato quel processo di indagine anche alle mie città, quelle dove vivo, nel Bel Paese. E mi sono accorto che il "potenziale paesaggistico urbano" aveva grandi affinità con quello dedotto a Londra. Non sto parlando del dettaglio architettonico o della ringhiera in ferro battuto verniciata di nero che accompagna il disegno dei "Terraces". Sto parlando della traccia, lasciata sugli schemi grafici e sulle tavole dipinte, dall'energia vitale che pulsa all'interno e nelle profondità della città.
Quella energia che necessita di nuove architetture (non necessariamente di nuovi edifici) per essere adeguata, assecondata e coltivata. Come ogni cultura libera, di qualità solo decente, richiede per la sua sopravvivenza.

Altro aspetto che completa e rende didatticamente interessantissima la visione di Zaha Hadid del problema "città globale", è il grande interesse che suscita in lei la "porosità" delle strade. Tuttavia a questo riguardo non è possibile legiferare: accade e basta.
Lei fa un esempio a proposito e dice che anni fa "...restai sopraffatta dall'oscurità della londinese Sloan Street alle sette di un sabato sera. Erano tempi di recessione e molti negozi erano chiusi, quindi dalle vetrine e dai ristoranti non trapelava luce. Ora, nonostante oggi le cose non vadano molto bene per l'economia mondiale, accade il contrario: le strade risplendono e, come sempre, le persone vi si insinuano al livello del suolo. Questo fenomeno non è mai stato progettato: è accaduto e basta. Uno dei fattori che più hanno modificato l'intensità urbana di Londra nell'ultimo decennio è consistito nella sostituzione delle sedi di banca sfarzose ma scialbe che occupavano gli edifici d'angolo, con bar e ristoranti che hanno riprogettato quegli spazi di grande presenza iconica. Quel che voglio sostenere, continua la Hadid, è che il dibattito sul modo di attivare il livello del suolo è in corso da venticinque anni e non è mai
stato messo in pratica attraverso la progettazione, mentre lo è stato attraverso la programmazione."
Come vedete c'è grande affinità di impressioni con quello che abbiamo discusso fino adesso in queste comunicazioni. Naturalmente lungi da me suggerire questa come l'unica strategia per affrontare il problema. Ma è quella in cui crediamo ed è anche quella sulla quale si stanno cimentando, secondo prospettive molteplici, i gruppi di studio più importanti del mondo del progetto.

Un'ultima nota a margine di questa chiacchierata sulla modellazione del paesaggio..
Noi siamo affascinati dagli interventi urbani dei modernisti della vecchia guardia, come alcuni degli stabili neocorbusiani in lastroni e blocchi di cemento di cui sono ricche molte città anche del Bel Paese e non necessariamente solo nelle periferie. Questi edifici sono frammenti di vasta scala, interventi geometrici incompleti disegnati per rimpiazzare la città esistente. E' la loro incompletezza a destare il nostro interesse, in quanto rappresenta gli esordi di un'ambizione relativa alla possibilità della geometria urbana di manovrare nel concreto le attività compiute nella strada e nella forma edificata. Nel cuore delle città storiche questo è, evidentemente, molto difficile da gestire. Intervenire in modo contemporaneo è fondamentale, ma bisogna farlo con estrema precisione. Nella città servono luoghi in cui gli oggetti possano restringersi ed espandersi, e riteniamo perciò indispensabile, che occorra elaborare "qualche elemento" che renda possibile anche un tipo di crescita organico, capace di fondersi fisiologicamente con quello classico stratificato dal tempo, e capace di dare risposte complessive (vecchio+nuovo) coerenti alle domande quotidianamente poste dalla Vita alla contemporaneità.

MP

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