lunedì 22 novembre 2010

M.U.L._4

In previsione della conferenza di martedì 23 consapevole del vostro impegno nello sviluppo della visualizzazione di un'architettura contemporanea TOD, invio alcune riflessioni che si riallacciano a quanto detto fino ad ora.

La concezione programmatica della professione dell'architetto si evolve (quindi) dalla progettazione degli spazi alla progettazione di eventi.
Questo tipo di concezione, a mio avviso, ha radici che affondano nella storia dell'architettura, basti pensare al partenone e al ruolo fondamentale che il propilei gioca nella sua percezione.
L'ascesa all'acropoli si conclude con una scalinata che termina nel propilei, la disposizione degli elementi costruiti fa si che la sequenza di attività che si susseguono siano pressoché determinata: una lunga scalinata sotto il sole, lo sguardo rivolto agli alti gradini e poi, il propilei, la porta d'ingresso per l'acropoli, l'ombra, la possibilità di tirare il fiato e di risollevare finalmente lo sguardo... in quel momento il partenone si staglia contro l'azzurro del cielo e ci colpisce in tutta la sua plasticità, complice la piacevolezza dell'ombra, si rimane in contemplazione volentieri.
Lo studio del percorso ad Atene, come a Delfi come in altri luoghi non solo in Grecia, è il mezzo progettuale per veicolare la percezione di un oggetto, pertanto può essere visto, in modo forse eccessivamente semplificato, come il programma delle attività che si svolgono in un determinato sito e che danno vita ad architettura.
Inteso in termini classici, il procedimento descritto veicola la percezione di un oggetto in modo tale da offrire il suo "profilo" migliore all'osservatore; evoluto in termini contemporanei, lo studio del programma ci da la possibilità di prefigurare le attività che si svolgono all'interno di un edificio, offrendoci quindi la capacità di operare in modo consapevole decidendo a favore di spazi anonimi o di "stunning views".

Dallo studio delle attività nasce un sistema complesso di esigenze da soddisfare in continua evoluzione e costante mutamento, questo fa si che le risposte fornite dall'architetto non risiedano più solamente nella componente fisica (minerale) che determina lo spazio ma anche (e soprattutto) nella prefigurazione delle possibili evoluzioni e delle loro probabili interazioni con lo spazio.
Avere a mente le attvità presenti e come queste potranno evolvere ci da la possibilità di indagare i vari "fare" che prendono vita in determinato luogo, in un probabile momento. Lo studio approfondito dei fare, come sappiamo, ci offre la possibilità di sintonizzarci con l'utente in modo da lanciare dei messagg decifrabili, in modo da raccontare la nostra "storia" in un linguaggio comprensibile. Operare nei confronti dell'utente in termini di immagini non ha nulla di deprecabile, anzi, fornire un facile accesso ai ricordi delle esperienze vissute tramite la visualizzazione degli spazi percorsi é una cosa a mio avviso, sana.
Per concretizzare una comunicazione efficace risulta quindi di fondamentale importanza il rapporto biunivoco che si instaura tra utente ed architettura, quella serie di processi che portano le due entità a relazionarsi e a modificarsi vicendevolmente.

Non da ultimo è altresì importante analizzare come il nostro operato entri in relazione con il contesto, e non parlo solamente degli eventuali, "amati", rivestimenti in laterizio, ne solamente di quanta ciodue abbiamo chiesto di produrre nel processo di costruzione, ma bensì di che cosa potrebbe succedere ai luoghi limitrofi all'intervento... nel nostro caso studio sappiamo che essendo strettamente relazionati all'aereporto, il concetto di limitrofo può benissimo andare dal rapporto di vicinato alla scala planetaria.
La prefigurazione in termini programmatici del rapporto con l'ambiente circostante è di difficile previsione dato l'elevato numero dei soggetti coinvolti nello sviluppo del territorio, ciononostante è esattamente quello che si propone di fare un programma di sviluppo TOD: attivare una serie di processi, per lo più previsti, al fine di attivare un rapporto di sinergia tra il territorio ed il luogo dei mezzi di trasporto. Lasciare dei gradi di libertà nel progetto, scegliendo di non prevedere ogni cosa, ha un duplice vantaggio: crea una sorta di cuscinetto capace di assorbire eventuali evoluzioni progettuali e genera uno di spazio di risulta in cui un terzo paesaggio di natura antropica può crescere più liberamente.

In tale senso l'approccio programmatico al progetto e il suo conseguente sviluppo parametrico (nel migliore dei casi dinamico e flessibile) ci offrono la possibilità di attivare una serie di processi che partendo dal costruito, finiscono per coinvolgere il vissuto in una relazione di interscambio che, se di qualità, potrebbe dare vita ad architettura.
In una società mutevole come quella odierna, la creazione di sistemi funzionali complessi è a mio avviso uno dei pochi strumenti che abbiamo per progettare, inteso nel senso di prevedere ciò che succederà, non solo nel campo della costruzione fisica ma anche in quello dello sviluppo socio-economico e culturale. Certo, essere sintonizzati con la realtà cosi bene da riuscire in questo intento in modo efficiente non è cosa da poco. Quella dell'architetto vista la sua votazione multidisciplinare, dall'arte alla tecnica passando per l'economia, la sociologia, la geopolitica etc..., è senz'altro una delle professioni candidate a rivestire un ruolo importante in questo processo, consulenze specialistiche saranno di sicuro fondamentali e gradite.


SN

M.U.L._3

Col tempo il modo di guardare e la capacità di vedere tendono a cambiare. Si vedono oggi cose che prima non si supponeva nemmeno esistessero e altre cose che prima vedevamo nitidamente, si confondono o sembrano addirittura scomparire. Quando abbiamo iniziato a proporre ai nostri studenti di indagare i programmi dell'architettura in termini creativi utilizzando nuovi media, noi stessi guardavamo a un fenomeno in trasformazione, apparentemente marginale, le cui manifestazioni ci sembravano tuttavia assumere un particolare rilievo per la comprensione di alcuni percorsi che l'architettura stava intraprendendo. Dello stesso fenomeno, che non ha smesso di richiamare la nostra attenzione, cerchiamo oggi di misurare le più aggiornate conseguenze: le elaborazioni sul piano teorico, le manifestazioni di creatività, le ricadute sulle professionalità, le conseguenze in ambito sociale.

Quel sistema di vicendevoli relazioni che coinvolgono l'architettura contemporanea insieme a fatti di comunicazione, che oramai indaghiamo da una decina di anni, offre un punto di vista che può rivelarsi utile sia per comprendere alcuni percorsi della produzione architettonica recente, sia per elaborare quella futura. L'architettura sta cercando di rinnovare la propria identità, di ridefinire i propri strumenti nonché i contorni del proprio ambito di intervento all'interno di un mondo in accelerata trasformazione. Ed è in questo frangente che i sistemi di comunicazione e i media diventano sempre più parte dei mezzi con i quali il progettista opera o intrattiene relazioni, mezzi dalla cui diffusa presenza una consistente parte della produzione architettonica è inevitabilmente influenzata.
Questa ricerca, non originale e condivisa con altri laboratori di ricerca sparsi in tante Università del pianeta, nasce dallo scetticismo nei confronti delle norme di un'Architettura in cui tutto deve essere risolto attraverso l'invenzione della forma.

Con Connection 1 e 2 (M.U.L.) abbiamo scelto di insistere sull'indagine di questo scenario con l'intenzione di raccontare qualcosa sul progettare architettura del nostro tempo, attraverso una manifestazione che si fa forte di un sentimento diffuso e di uno sguardo indipendente.

È con questi presupposti che nasce Connection 2 (Musicalità Urbana Leggera). Una sorta di invito all'esame della vista, così come sottolinea l'efficace immagine elaborata da Stefano Nafissi, rivolto senza mezzi termini all'architettura contemporanea. In effetti essa sembra aver perso, negli ultimi 40anni, la capacità di ricercare visioni ampie, di raccogliere in uno sguardo esteso la complessità dei fenomeni di trasformazione dell'ambiente abitato, di guidare il pensiero e la coscienza al di là di quello che è consueto, empirico, visibile. I nostri occhi si sono forse abituati a vedere scomparire gli orizzonti più lontani. È vero, le immagini dell'architettura, la loro massiva produzione e il loro consumo sembrano avere avuto come diretta conseguenza, negli ultimi anni, una maggiore vicinanza del pubblico alla progettualità mondiale. Nell'era della comunicazione globale le figurazioni di progetto esprimono una sempre più spiccata propensione a sviluppare una nuova capacità di elaborare il proprio ambito di azione, di determinare inediti sistemi di relazione tendendo verso qualcosa che potrebbe essere letto come un rinnovarsi di quegli intenti persuasivi che furono propri della figuratività umanistica. Ma quelle immagini, così spesso autonome da sembrare dissociate dalla rappresentazione, hanno al contempo realizzato una modificazione nel modo di pensare l'architettura e sembrano avere inciso sulla capacità e sull'opportunità di proiettare visioni, quindi teorie, radicate nel nostro tempo ma aperte verso possibili nuovi scenari.

Con Connection 1 e M.U.L. proponiamo una nuova riflessione sui temi della figurazione e della generazione del progetto, sui limiti della capacità di vedere e di raccontare ciò che non è davanti ai nostri occhi andando alla ricerca delle più effettive visioni, estese nello spazio o nel tempo, utili a pensare e a definire i contorni del nostro possibile futuro.

MP

giovedì 18 novembre 2010

M.U.L._2

Sto scrivendo un libro nel quale cerco di raccogliere
un po' delle riflessioni che faccio insieme ai miei studenti
da alcuni anni a questa parte.

In occasione di M.U.L. credo utile aggiungere agli elementi
che abbiamo offerto a coloro che stanno elaborando il video,
anche un capitolo del suddetto libro, dove riassumo alcune
convinzioni, frutto della pratica professionale essenzialmente,
relative alla figura del progettista di architettura nell'attualità
che potrebbero servire ad elaborare uno screenplay del video
più semplice ed efficace.


Un saluto

MP

---------------------------------------------------------------------------------------


Tutto sommato questi primi anni del secondo millennio sono abbastanza positivi per l'Architettura. C'è maggiore attenzione del pubblico verso gli aspetti progettuali ed il desiderio di design sono più diffusi che in passato. Sussistono gravi problemi di comunicazione e spesso la gente non sa di cosa parla, ma ne parla...........I progettisti di Architettura sono impegnati nella creazione di lavori brillanti ed innovativi e sono sempre più ricercati per le loro idee sullo sviluppo sociale, urbano e storico. Sembra che abbiano superato ogni obiezione nei confronti del capitalismo.
Ma mi chiedo se, per caso, tutta questa euforia non stia a mascherare qualcosa. Ho l'impressione di assistere ad una sorta di difesa maniacale della "corporazione". Ho il sospetto che al giorno d'oggi si stia nascondendo ( in primis a noi stessi ) la paura del "secondo atto".
Mi piace pensare in quella direzione ma non è semplice immaginare con precisione quali siano gli scenari che dovranno essere affrontati in futuro. Nel frattempo però può essere utile provare ad inventarne alcuni, in modo da verificare le nostre risposte - ed anche prepararci ad affrontare le nostre posizioni inflessibili, i nostri dogmi più rigidi, ed a riconoscere i limiti drammatici del nostro coraggio, della nostra ambizione e della nostra immaginazione. Alcune riflessioni a proposito:
_ E' necessario che si prenda coscienza del fatto che l'architettura sta rapidamente diventando parte dell'industria della conoscenza. Il concetto di "design"(all'inglese), di progettazione (all'europea), sta diventando sempre più indipendente da quello di costruzione.Questo concetto è associato in maniera sempre più intima alla produzione di proprietà intellettuale: idee, metodologie, contesti, così come interi ambienti e processi culturali e sociali. Ogni relazione sociale ora è esposta al design, non solo le relazioni fra esseri umani ed oggetti o fra esseri umani ed ambienti reali. La sfera del design ora comprende anche le relazioni interpersonali e quelle fra la gente e gli eventi simbolici e collettivi. I progettisti di architettura contemporanei, già oggi, sono i creatori di quelle "pellicole" che ricoprono ogni cosa, quelle che una volta venivano chiamate "interfacce". Oggi più che mai la ri-progettazione del sistema della conoscenza è inseparabile dalla trasformazione dell'ambiente materiale.Gli architetti devono adattarsi a questa realtà emergente.
_ Inizio a pensare ( in perfetta sintonia con Sanford Kwinter - un signore colto che lavora ad Harvard di cui mi fido-) che in un prossimo futuro probabilmente non esisterà più la figura dell'architetto tradizionale. Come mai? Mha, essenzialmente perchè la materia di cui è fatto il mondo viene generata attraverso apparati amministrativi (oppure attraverso quelle che con un termine più innocuo si chiamano "organizzazioni"). Alcuni progettisiti di architettura hanno già da tempo previsto il passaggio dal loro ruolo di costruttori a quello di organizzatori di relazioni sociali. Alcuni hanno puntato tutto sul "programma" come nuovo motore di produzione ed invenzione sociale.
Mi immagino che alla fine, quando questa sorta di trasformazione si sarà attuata, quei progettisti che avranno scelto di continuare a progettare edifici (progetto = costruzione) si potrebbero ritrovare "impiegati" dai "program designer", proprio come altri progettisti sono stati impiegati in questi ultimi decenni come specialisti di rendering, a supporto dell'immaginazione di altri architetti.
_ L'età del computer e l'esagerata euforia per tutto ciò che è virtuale credo stia per esaurirsi. O almeno questa è la sensazione che ho maturato chiacchierando con amici che ne hanno fatto una bandiera della loro ricerca per anni. Mi dicono che iniziano ad avere l'impressione di perdere il "contatto" con le ragioni etiche del progetto.E' come se avessero investito eccessivamente in una moda che considerano necessaria ( condivido) ma comunque transitoria. Mi sono sempre approcciato all'argomento con grande cura, proprio per le ragioni di cui sopra. Una macchina che dà tutte le risposte.......vero........ma.
Nessuno fra quelli che definiscono il computer semplicemente uno "strumento" sembra davvero aver capito quello che il computer realmente rappresenta. L'animale uomo ha speso gran parte del suo tempo di soggiorno sul pianeta ad escogitare strategie per "divinizzarsi".........questa è una di quelle. Non penso che i miei amici di cui riporto le riflessioni, siano degli sprovveduti dalle visioni ristrette, gente cioè che non riesce a comprendere la reale portata, gli effetti del progresso nell'automazione informatica e fisica. Il problema è che coloro i quali hanno fatto della parametrizzazione una religione, si rifanno diligentemente all'interpretazione convenzionale secondo la quale il computer è un oggetto "digitale", quando in realtà esso è chiaramente organizzato in maniera analogica (è fatto di vetro, metalli leggeri, plastiche varie e silicio). Sono rimasto abbastanza soddisfatto di sapere che piccoli gruppi accademici negli Stati Uniti (al MIT, alla NYU ed alla UCLA) in tempi recenti hanno incominciato ad esplorare le dimensioni "fisiche" o "tangibili" del computer.
E sinceramente penso che sarà proprio questa la "parola perduta" del progetto architettonico nei prossimi anni. Lo dico in virtù delle verifiche fatte da alcuni laboratori di ricerca informatica per le quali sembra ormai inconfutabile che non ci sia niente nell'universo contemporaneo del software che non sia derivato da un'analisi dei processi materiali del mondo reale. Della realtà che ci circonda, della Vita che si evolve (accidenti!). Le ricerche prodotte dagli studenti del seminario di Toshiko Mori ad Harvard nel 2003 hanno dimostrato chiaramente che gli algoritmi di progettazione digitale oggi più popolari, sono in realtà basati su matrici in larga parte derivate da strutture materiali reali, della cui continuità strutturale sono derivazione o astrazione. Questo ci permette di affermare che i computer non sono tanto degli strumenti, quanto, piuttosto, versioni iperboliche di continuità reali. Insomma, ci consentono di catturare il movimento della materia e di manipolare caratteristiche fisiche, che sono qualità e comportamenti reali, seppur in costante evoluzione. E quindi i computer ci consentono diriorganizzare questi elementi in nuove combinazioni. In nuovi procedimenti scientifici, industriali, ed in nuovi materiali. Permettendo nuovi programmi, nuovi obiettivi percettivi, nuove estetiche. Realizzare, allora, nuovi progetti. Ed in ultima analisi, nuove architetture.
_ Abbiamo già discusso, ed ancora lo faremo, dello sviluppo delle metropoli e della scomparsa delle città. Sto parlando della nostalgica visione del portico bolognese in una serata uggiosa novembrina, che deve esistere, ci mancherebbe!, ma è una nostalgica visione. Gloriosi complessi che hanno dato vita e corpo nell'immaginario collettivo all'idea di città, che oggi non possono più essere utilizzati a quegli scopi. Perchè? Nell'economia contemporanea (vedi ad esempio AMARTYA SEN: PROJECT DESIGN AND POLICY FRAMEWORKS FOR URBAN DEVELOPMENT ) la città non riguarda solo dove noi ci troviamo; è anche (soprattutto) chi noi siamo. Il provincialismo che è stato tanto confortevole ed industrioso in questi ultimi decenni ha esaurito la benzina. I primi segnali della trasformazione sono stati annunciati da una parola d'ordine che è entrata di forza nella quotidianità della professione: globalizzazione. Altro segnale è stato l'imporsi, nella guerra di potere che si è scatenata, di un'altra parola "magica": mercati. In un futuro prossimo potranno essere altre parole a catalizzare l'evoluzione in modo efficace......che ne so "jihad", ad esempio. Spero di no, ma potrebbe essere.
Concetti che hanno la capacità di unire, allargare, restringere, impedire, ecc. In poche parole che ci definiscono, ci identificano. Come una vernice colorata su un ectoplasma che altrimenti sarebbe quasi trasparente. La nuova condizione spaziale che ne consegue è esattamente ciò di cui parlo: la nuova città in cui abitiamo, che sarà sempre più una metropoli, per quanto sia difficile abituarsi a questa nozione.
La progettazione, con tutte le valenze tradizionali, simboliche, poetiche, accademiche è oggigiorno un territorio saldamente in mano ai designer. Ma credo che con l'emergere di nuove esigenze sociali e sviluppi storici, i tradizionali professionisti della progettazione vedranno questo controllo ridotto, limitato e conteso da altri. Ad esempio società specializzate, a cui accennavo più sopra, di cui una realtà già fortemente radicata ed attiva su tutto il pianeta è l'IKEA.
Ci troviamo senza dubbio in un momento di radicale transizione e sono convinto che l'Architettura debba essere sottoposta ad una trasformazione profonda, che ne modifichi sostanzialmente i connotati. Quindi il vocabolario, parzialmente la grammatica e sostanzialmente il linguaggio.
Tutto questo semplicemente per poter continuare a raccontare storie interessanti.


MP

mercoledì 17 novembre 2010

M.U.L._1_immagini


M.U.L._1

Architettura mai inutilmente stravagante.
Architettura risposta convincente alla domanda del XXI secolo: "come abiteremo nell'era
dell'informatica e dell'immateriale?".
Progetto (design) come si accennava in altro ambito, sempre più autonomo dal concetto
di costruzione e sempre più affine alla creazione di cultura contemporanea. Creazione di
programmi funzionali, elaborati come sistemi complessi, nei quali è solo il buon gusto e la
sensibilità che ne definiscono la strutturazione e gli aspetti caratterizzanti.
Questo porta, evidentemente, ad abbandonare definitivamente ogni possibile retaggio
formalista e stilistico, in quanto ogni progetto, per essere coerente e vero (cioè di qualità),
dovrà essere differente dal precedente e dal successivo in modi spesso sostanziali.

Un esempio tangibile di cosa stiamo pensando ci viene da SANAA e dai loro
ultimi lavori, tra cui il Rolex learning center, cuore del politecnico federale di Losanna.
La "storia architettonica" scritta dallo studio giapponese è l'elaborazione elegantissima di
un programma estremamente innovativo e geniale, per la formalizzazione del quale gli
architetti hanno deciso di non creare stanze, corridoi, luoghi d'attesa o di sosta, interruzioni
del vuoto architettonico (lo spazio in termini tecnici). Tutto scorre fluido, secondo l'ondulazione
che coinvolge anche il pavimento, trasferendo l'esperienza del camminare in un saliscendi
inquietante ma anche eccitante.
L'idea che risolve il programma è semplice, come tutte le volte che ci troviamo di fronte ad un
capolavoro: riunire in un unico ambiente tutte le singole funzioni, dalla biblioteca agli uffici,
dagli spazi di studio per i ricercatori al ristorante, all'auditorium, ai laboratori, caffetterie ecc.
Un sistema avvolgente dove è abolito il confine, anzi dove il confine è perfettamente smaterializzato,
metafora architettonica di una società "fluida, liquida", ma anche appropriata risposta alle
esigenze interdisciplinari di una scienza corrispondente alla nuova età della conoscenza ibrida.

Una nota a margine, che mi piace fare, riguarda la possibilità di individuare le radici di questo
scrivere architettura nel "modernismo silenzioso" di Mies van der Rohe. Scrivendo architettura
"trasparente", Mies raccontava una visione inquieta della realtà, intesa come un labirinto.
Analogamente il Rolex Center di Losanna è solo apparentemente il luogo della visione ad oltranza:
muovendosi al suo interno si scoprono tutte le interfacce che è stato necessario progettare
per ottenere quella percezione specifica del programma voluta da SANAA.
Ed è un labirinto invisibile, molto più inquietante di quelli di Mies.