giovedì 18 novembre 2010

M.U.L._2

Sto scrivendo un libro nel quale cerco di raccogliere
un po' delle riflessioni che faccio insieme ai miei studenti
da alcuni anni a questa parte.

In occasione di M.U.L. credo utile aggiungere agli elementi
che abbiamo offerto a coloro che stanno elaborando il video,
anche un capitolo del suddetto libro, dove riassumo alcune
convinzioni, frutto della pratica professionale essenzialmente,
relative alla figura del progettista di architettura nell'attualità
che potrebbero servire ad elaborare uno screenplay del video
più semplice ed efficace.


Un saluto

MP

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Tutto sommato questi primi anni del secondo millennio sono abbastanza positivi per l'Architettura. C'è maggiore attenzione del pubblico verso gli aspetti progettuali ed il desiderio di design sono più diffusi che in passato. Sussistono gravi problemi di comunicazione e spesso la gente non sa di cosa parla, ma ne parla...........I progettisti di Architettura sono impegnati nella creazione di lavori brillanti ed innovativi e sono sempre più ricercati per le loro idee sullo sviluppo sociale, urbano e storico. Sembra che abbiano superato ogni obiezione nei confronti del capitalismo.
Ma mi chiedo se, per caso, tutta questa euforia non stia a mascherare qualcosa. Ho l'impressione di assistere ad una sorta di difesa maniacale della "corporazione". Ho il sospetto che al giorno d'oggi si stia nascondendo ( in primis a noi stessi ) la paura del "secondo atto".
Mi piace pensare in quella direzione ma non è semplice immaginare con precisione quali siano gli scenari che dovranno essere affrontati in futuro. Nel frattempo però può essere utile provare ad inventarne alcuni, in modo da verificare le nostre risposte - ed anche prepararci ad affrontare le nostre posizioni inflessibili, i nostri dogmi più rigidi, ed a riconoscere i limiti drammatici del nostro coraggio, della nostra ambizione e della nostra immaginazione. Alcune riflessioni a proposito:
_ E' necessario che si prenda coscienza del fatto che l'architettura sta rapidamente diventando parte dell'industria della conoscenza. Il concetto di "design"(all'inglese), di progettazione (all'europea), sta diventando sempre più indipendente da quello di costruzione.Questo concetto è associato in maniera sempre più intima alla produzione di proprietà intellettuale: idee, metodologie, contesti, così come interi ambienti e processi culturali e sociali. Ogni relazione sociale ora è esposta al design, non solo le relazioni fra esseri umani ed oggetti o fra esseri umani ed ambienti reali. La sfera del design ora comprende anche le relazioni interpersonali e quelle fra la gente e gli eventi simbolici e collettivi. I progettisti di architettura contemporanei, già oggi, sono i creatori di quelle "pellicole" che ricoprono ogni cosa, quelle che una volta venivano chiamate "interfacce". Oggi più che mai la ri-progettazione del sistema della conoscenza è inseparabile dalla trasformazione dell'ambiente materiale.Gli architetti devono adattarsi a questa realtà emergente.
_ Inizio a pensare ( in perfetta sintonia con Sanford Kwinter - un signore colto che lavora ad Harvard di cui mi fido-) che in un prossimo futuro probabilmente non esisterà più la figura dell'architetto tradizionale. Come mai? Mha, essenzialmente perchè la materia di cui è fatto il mondo viene generata attraverso apparati amministrativi (oppure attraverso quelle che con un termine più innocuo si chiamano "organizzazioni"). Alcuni progettisiti di architettura hanno già da tempo previsto il passaggio dal loro ruolo di costruttori a quello di organizzatori di relazioni sociali. Alcuni hanno puntato tutto sul "programma" come nuovo motore di produzione ed invenzione sociale.
Mi immagino che alla fine, quando questa sorta di trasformazione si sarà attuata, quei progettisti che avranno scelto di continuare a progettare edifici (progetto = costruzione) si potrebbero ritrovare "impiegati" dai "program designer", proprio come altri progettisti sono stati impiegati in questi ultimi decenni come specialisti di rendering, a supporto dell'immaginazione di altri architetti.
_ L'età del computer e l'esagerata euforia per tutto ciò che è virtuale credo stia per esaurirsi. O almeno questa è la sensazione che ho maturato chiacchierando con amici che ne hanno fatto una bandiera della loro ricerca per anni. Mi dicono che iniziano ad avere l'impressione di perdere il "contatto" con le ragioni etiche del progetto.E' come se avessero investito eccessivamente in una moda che considerano necessaria ( condivido) ma comunque transitoria. Mi sono sempre approcciato all'argomento con grande cura, proprio per le ragioni di cui sopra. Una macchina che dà tutte le risposte.......vero........ma.
Nessuno fra quelli che definiscono il computer semplicemente uno "strumento" sembra davvero aver capito quello che il computer realmente rappresenta. L'animale uomo ha speso gran parte del suo tempo di soggiorno sul pianeta ad escogitare strategie per "divinizzarsi".........questa è una di quelle. Non penso che i miei amici di cui riporto le riflessioni, siano degli sprovveduti dalle visioni ristrette, gente cioè che non riesce a comprendere la reale portata, gli effetti del progresso nell'automazione informatica e fisica. Il problema è che coloro i quali hanno fatto della parametrizzazione una religione, si rifanno diligentemente all'interpretazione convenzionale secondo la quale il computer è un oggetto "digitale", quando in realtà esso è chiaramente organizzato in maniera analogica (è fatto di vetro, metalli leggeri, plastiche varie e silicio). Sono rimasto abbastanza soddisfatto di sapere che piccoli gruppi accademici negli Stati Uniti (al MIT, alla NYU ed alla UCLA) in tempi recenti hanno incominciato ad esplorare le dimensioni "fisiche" o "tangibili" del computer.
E sinceramente penso che sarà proprio questa la "parola perduta" del progetto architettonico nei prossimi anni. Lo dico in virtù delle verifiche fatte da alcuni laboratori di ricerca informatica per le quali sembra ormai inconfutabile che non ci sia niente nell'universo contemporaneo del software che non sia derivato da un'analisi dei processi materiali del mondo reale. Della realtà che ci circonda, della Vita che si evolve (accidenti!). Le ricerche prodotte dagli studenti del seminario di Toshiko Mori ad Harvard nel 2003 hanno dimostrato chiaramente che gli algoritmi di progettazione digitale oggi più popolari, sono in realtà basati su matrici in larga parte derivate da strutture materiali reali, della cui continuità strutturale sono derivazione o astrazione. Questo ci permette di affermare che i computer non sono tanto degli strumenti, quanto, piuttosto, versioni iperboliche di continuità reali. Insomma, ci consentono di catturare il movimento della materia e di manipolare caratteristiche fisiche, che sono qualità e comportamenti reali, seppur in costante evoluzione. E quindi i computer ci consentono diriorganizzare questi elementi in nuove combinazioni. In nuovi procedimenti scientifici, industriali, ed in nuovi materiali. Permettendo nuovi programmi, nuovi obiettivi percettivi, nuove estetiche. Realizzare, allora, nuovi progetti. Ed in ultima analisi, nuove architetture.
_ Abbiamo già discusso, ed ancora lo faremo, dello sviluppo delle metropoli e della scomparsa delle città. Sto parlando della nostalgica visione del portico bolognese in una serata uggiosa novembrina, che deve esistere, ci mancherebbe!, ma è una nostalgica visione. Gloriosi complessi che hanno dato vita e corpo nell'immaginario collettivo all'idea di città, che oggi non possono più essere utilizzati a quegli scopi. Perchè? Nell'economia contemporanea (vedi ad esempio AMARTYA SEN: PROJECT DESIGN AND POLICY FRAMEWORKS FOR URBAN DEVELOPMENT ) la città non riguarda solo dove noi ci troviamo; è anche (soprattutto) chi noi siamo. Il provincialismo che è stato tanto confortevole ed industrioso in questi ultimi decenni ha esaurito la benzina. I primi segnali della trasformazione sono stati annunciati da una parola d'ordine che è entrata di forza nella quotidianità della professione: globalizzazione. Altro segnale è stato l'imporsi, nella guerra di potere che si è scatenata, di un'altra parola "magica": mercati. In un futuro prossimo potranno essere altre parole a catalizzare l'evoluzione in modo efficace......che ne so "jihad", ad esempio. Spero di no, ma potrebbe essere.
Concetti che hanno la capacità di unire, allargare, restringere, impedire, ecc. In poche parole che ci definiscono, ci identificano. Come una vernice colorata su un ectoplasma che altrimenti sarebbe quasi trasparente. La nuova condizione spaziale che ne consegue è esattamente ciò di cui parlo: la nuova città in cui abitiamo, che sarà sempre più una metropoli, per quanto sia difficile abituarsi a questa nozione.
La progettazione, con tutte le valenze tradizionali, simboliche, poetiche, accademiche è oggigiorno un territorio saldamente in mano ai designer. Ma credo che con l'emergere di nuove esigenze sociali e sviluppi storici, i tradizionali professionisti della progettazione vedranno questo controllo ridotto, limitato e conteso da altri. Ad esempio società specializzate, a cui accennavo più sopra, di cui una realtà già fortemente radicata ed attiva su tutto il pianeta è l'IKEA.
Ci troviamo senza dubbio in un momento di radicale transizione e sono convinto che l'Architettura debba essere sottoposta ad una trasformazione profonda, che ne modifichi sostanzialmente i connotati. Quindi il vocabolario, parzialmente la grammatica e sostanzialmente il linguaggio.
Tutto questo semplicemente per poter continuare a raccontare storie interessanti.


MP

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