venerdì 4 dicembre 2009

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(sulla recitazione)


Quando penso al rapporto tra città ed Architettura, penso alla democrazia. L'Architettura partecipa a quella modificazione di atteggiamento che è la rappresentazione della comunità.
Riusciamo a cogliere bene il concetto quando c'è un'assenza. Quando i Budda in Afghanistan o le Twin Towers a New York vengono distrutti, oppure la Golden Dome di Samarra in Iraq non esiste più, in quel momento c'è un'assenza, un senso di mancanza, di vuoto e gli eventi in cui l'Architettura non c'è più ci fanno comprendere meglio la sua importanza. Il vuoto dell'assenza dimostra che l'Architettura partecipa al processo della democrazia.
Anche quando sono bruttissimi, non funzionano, sono esteticamente orribili, gli edifici SONO la rappresentazione della società a cui si riferiscono. Sempre.
L'Architettura può avere un effetto sulla società, anzi deve averlo; perchè quel che facciamo noi progettisti di architettura è cercare di costruire uno scenario in cui gli uomini siano i soli attori.
L'Architettura non può essere indipendente dagli uomini, in quanto se, per pura astrazione, immaginassimo una città senza gli uomini, o gli uomini senza un'Architettura di città, verificheremmo che ci sarebbe qualcosa che non funziona, si vedrebbe un'assenza. Perciò gli esseri umani sono obbligati a vivere insieme alla loro Architettura.
Gli architetti disegnano lo scenario in cui gli attori recitano e se questo scenario non permette l'entrata in scena, l'uscita o l'evento culminante, tutto crolla. Lo scenario può produrre poesia ma anche disperazione, in quanto può originare qualunque cosa. Ma non risolve il problema della recita. Ora ve lo spiego.
E' evidente, in questa veloce disanima, il rapporto di simultaneità (lo stesso del contrasto cromatico) tra cultura e Architettura. Vi dico questo in quanto succedono cose strane a fidarsi ciecamente dell'equazione scritta sopra.
Ad esempio.
Se dici ad un abitante della banlieue parigina che demolisci gli edifici perchè sono brutti, spesso ti risponderà che sì, è d'accordo, sono brutti, ma attenzione! che non ti azzardi a costruire poi torri o stecche o corti a patio ecc....
..............................? Già............
Gli abitanti sono d'accordo nel volere le scale più larghe, ma senza cambiarle. Allora tu pensi: " Come no? Sto posto è brutto che fa schifo, ci vivete male, avete bruciato le porte, gli ascensori non funzionano, i disimpegni sono un disastro e pure i pianerottoli sono sbagliati....e allora perchè lo volete ancora? E molti di loro ti rispondono: " Perchè io qui ci sono nato". Nello scenario che è stato loro proposto, hanno recitato la loro commedia umana, anche se nel posto peggiore. Questo troppo diffuso tipo di risposta (nelle banlieue è solo più grottesco) deve far riflettere.
Ma non tanto sulla scena, bensì sulla recita.
Si crea, evidentemente, un problema di sensibilità, in quanto tu sai che devi eliminare uno scenario per non protrarre non solo i luoghi della disperazione ma anche per adeguare quelli della Vita , ma nello stesso tempo devi trovare il modo affinchè avvenga un passaggio. Non esiste edilizia, edificio che si possa cancellare in un istante. Noi sappiamo che in mezzo mondo ci sono scenari da rivedere. Però il problema del "passaggio di stato" è estremamente delicato, in quanto si tratta della commedia umana ed i suoi attori spesso non sono preparati a discuterne.
Bruno Zevi disse, una volta, che non era abbastanza essere un grande progettista di Architettura. C'era (e c'è) una cosa in più nell'essere un buon architetto: l'interesse per la complessità della società. La necessità, aggiungo io, di riuscire a cogliere le sottili logiche che possono permettere la convivenza di tutti gli attori senza che si uccidano tra loro, o si insultino o siano disinteressati al bene comune. Ma il bello di tutto ciò è che spesso questo è solamente impossibile. Ed è solo un problema di educazione alla cultura ed al saperla riconoscere. Niente di più. Educazione.
In una società democratica ogni attore ha la libertà di esprimere il suo pensiero. Anche se non sa perchè lo esprime nè cosa lo motiva. E' un problema che anche i greci (gli inventori di questa bizzarra cosa) avevano notato e per il quale avevano elaborato qualche "mossa difensiva", essenzialmente legata al concetto di "saggio" e "saggezza", (concetto che nel tempo si è un po' deteriorato) ed affidando grande importanza agli educatori (anche qui nei tempi il concetto si è parecchio deteriorato invero). Ma tant'è.
Nel corso dell'ultimo secolo l'attenzione si è concentrata sul soggetto sbagliato. E' la recita che definisce l'architettura e la qualità della scena, non il contrario. Ed il Guggenheim di Bilbao è diventato un organo vitale per quella città non per come è fatto ma per cosa rappresenta, e la genialità che lo sottende non è tanto nella plasticità delle forme, quanto nella capacità di dare un volto ai desideri ed alle aspettative di una cultura. Ed il fatto che "esportato" tout court non ha più funzionato nello stesso modo ne è la testimonianza tangibile.
La recita. OK, direte voi, ma fin troppe volte riconosciamo gravi lacune nella grammatica del testo della recita e nessuno accetta di discuterle in quanto "...è sempre stato così" o " ......è così che mi ricordo si è sempre fatto". Senza contare che la maggioranza della gente ha faticato "sette camicie" per imparare a recitare quel ruolo e della sua incapacità ne ha fatto un vanto. (e nel Bel Paese questa è una prassi drammaticamente molto diffusa......). E' questa la vostra osservazione?
Bene.
Perchè è esatta. Questa è la realtà di cui stiamo parlando. Alla fisiologica complessità dettata dall'evoluzione bio e psico-logica della Vita, che procede imperterrita disinteressandosi della banalità (più o meno drammatica) della quotidianità, avendo come metro ritmico un tempo lunghissimo a cui si accompagnano delle sonorità ai limiti delle frequenze udibili, si somma una complessità altra, spesso ingiustificatamente rumorosissima e falotica, che utilizza troppe frequenze bassissime ed altissime per illuminarsi e che rende il compito di interpretare correttamente la reale qualità che ci circonda molto difficile e facilmente vittima di clamorose sviste.
Ed è proprio da quelle sviste che poi sorgono scenografie per la recita che risultano banali e di nessuna efficacia.
A volte, però, la grammatica è corretta. Non è la prassi, questo è vero, ma a volte la costruzione delle frasi, il loro modo di articolarsi ed il significato a cui alludono, sono di qualità. Significa che nel divertentissimo caos voluto dalla Vita è stato colto un momento di verità, ed è stata scritta una storia interessante. E la recita che ne consegue dipende allora solo dalla bontà degliattori, ed in questo caso sarà molto più facile riconoscere chi sa recitare dai ciarlatani e tutto sarà, più o meno, in equilibrio per un po'.

Per cui, per cortesia, almeno a CONNECTION vediamo di utilizzare una piéce teatrale di un certo spessore.....................

MP

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