martedì 15 dicembre 2009

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"All'alba si infilava uno stick di deodorante sotto la camicia - la doccia del camionista - e guidava finchè non trovava un caffè da qualche parte. Secondo lui viaggiare da solo era come andare in analisi: si scoprivano molte cose su se stessi.
Mentre attraversava a tutta velocità la piana salata di Bonneville, giocava a "golf da macchina", zigzagando tra le corsie per far rotolare una pallina da ping-pong dentro il bicchiere di polistirolo che si era rovesciato sul sedile di fianco, spandendo quasi tutto il caffè."
Questa è l'Architettura a cui facciamo riferimento.
Un Architettura che sia inquietante testimone - non necessariamente di accusa -; un'Architettura che, dietro un paio di occhiali scuri e non vista, "fotografa" per poi ingrandirle, alcune particolari prospettive della complessità contemporanea le quali poi, originalmente montate, siano capaci di rivelare una verità intrigante, coinvolgente, stuzzicante, compromettente.
Un' Architettura che nasce dall'uso di un processo di "underwiew" (visione dettagliata di una parte), piuttosto che uno di "overview" (visione d'insieme), al fine di elaborare un modo di raccontare uguale a quello di chi facesse, per assurdo, la cronaca di un avvenimento sportivo non guardando in campo ma prendendo nota di quello che, alla fine, rimane sulle gradinate.
Un'Architettura che nasce dal silenzio, dalla riconsiderazione dei reperti, di quei paesaggi e di quegli spazi marginali su cui tanto abbiamo insistito, e caratterizzata da una precisione di scrittura - argomento per argomento - che costringa a riflettere.
Un'Architettura della civiltà mass-mediatica, la nostra, nella quale gli -ismi delle forme espressive perdono di efficacia con una velocità drammatica e, fortunatamente, senza diritto di replica, in quanto l'ambiente in cui vivono non è più propizio a coloro che sviluppano idee secondo canoni stilistici predeterminati.
Un'Architettura che sia capace di contrastare il senso comune diffuso, basato sul dominio dell'effimero e sulla fiorente industria del gossip. Impresa ardua per via del fatto che la maggior parte dei designer cresciuti negli ultimi venti anni e di quasi tutti gli studenti attuali, si sono formati attraverso idee, desideri e progetti confezionati da una cultura quasi esclusivamente governata dall'indifferenza, dal cinismo e dal rifiuto del pensiero critico libero.
Un'Architettura che dialoga con i sentimenti più profondi senza preoccuparsi di essere perfetta o "politically correct" ma preoccupandosi, invece, "solo" di essere.
Un'Architettura che esiste quando la Vita la usa, e quando la Vita non la usa viaggia...................

MP

lunedì 14 dicembre 2009

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Qualche biennale di Architettura di Venezia fa ho visto e commentato uno splendido intervento nel padiglione Canadese realizzato dal giovane Studio di Vancouver Pechet and Robb Art & Architecture (http://www.pechetandrobb.com/index.html). L'azione più fondamentale e più sorprendente del progetto è l'inserimento, all'interno del padiglione, di un gigantesco giubbotto di felpa, la cui leggibilità viene letteralmente soppiantata dalla creazione di un rivestimento interno estremamente "accattivante" per i nostri sensi.
L'installazione parte dalla nuova cultura del Design diffusa nella giovanissima e vivacissima città di Vancouver, la cui stravagante conformazione geografica costringe entro limiti non negoziabili, le attività legate all'insediamento e all'edificazione urbana.
Il carattere urbano di Vancouver è animato dalle attività legate allo svago ed al tempo libero, da una preoccupazione costante nei confronti dell'ambiente e dall'ottimismo intrinseco di una popolazione veramente molto eterogenea che vuole fare di questa nuova ultima frontiera, la propria casa.

Benchè galvanizzanti in termini di flusso di capitali e convenzioni di gusto domestico, certe speculazioni di design vengono spesso a collocarsi lungo un perimetro culturale.
La natura essenzialmente piatta dell'attuale edilizia urbana è indagata da più agili esplorazioni, connesse ai giardini, all'arredamento, alla scenografia e alle installazioni d'arte pubblica, sempre con uno sguardo critico e non di rado ironico rispetto alle fragili esperienze vissute di questo luogo.
Le realizzazioni di Pechet e Robb includono diverse installazioni in contesti pubblici che anticipano ed anche persino innescano l'invenzione di nuove pratiche sociali.
In un regno urbano senza precedenti queste installazioni possono essere interpretate come inviti temporanei, in attesa che la forza della presenza edificata sia accolta nella quotidianità della vita.

Oltre a rappresentare la cifra del lavoro di Pechet e Robb, fra routine ed improvvisazione, questo sguardo critico segna una relazione diretta tra le azioni del designer e quelle del cittadino.
Per coltivare significati personali che possiedono infinite sfumature, entrambi devono impegnarsi in una revisione provvisoria dell'ambiente in cui si trovano. La città viene letta, in questo modo, in una cornice di interessi individuali particolari, che si intersecano e si scontrano in continuazione, finendo con il disegnare la comune identità di collettività stratificate.
Con allusione alle costruzioni aborigene note con il nome di "sweatlodges" (strutture temporanee costruite a scopi di purificazione rituale e di socializzazione), il progetto SweaterLodge evoca un'altra vena di potenziale suggestione della cultura nativa: quella del trickster. Usando giochi di parole, allusioni arcane e doppi sensi, Pechet e Robb rivelano una valida strategia in grado di consentire ai valori delle minoranze un certo grado di invisibilità all'interno della cultura dominante. Grazie anche ai cambi di scala ed alla generale inclinazione a decontestualizzare ciò che può essere considerato famigliare, il lavoro di Pechet e Robb funge da stimolo tanto a livello viscerale che intellettuale ed il suo significato ultimo viene continuamente costruito e ricostruito dagli individui che vi partecipano, esprimendo in modo esemplare quella condizione di ralazionalità a cui tanto facciamo riferimento nelle nostre comunicazioni.

Il materiale, genialmente e squisitamente effimero, derivante dal riciclaggio di moltissimi contenitori di bevande in plastica, ingigantito fino a diventare il giubbotto di un titano, viene nuovamente trasformato in un confortevole interior texture che evoca un po' le scenografie di Barbarella, e ricorda, allo stesso tempo, la sostanziale parentela dell' architettura con il riparo offerto dagli abiti. La cifra della complessità e della sostanza di questo progetto è ciò che noi chiamiamo architettura.



MP

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Che cosa è l'urbanistica oggi? Come si trasforma e come si può trasformare la città contemporanea? Ma soprattutto: da che cosa dipende la qualità della Vita dei suoi abitanti, degli spazi condivisi e dei luoghi d'incontro? In sintesi, che cosa può rendere le nostre città più vivibili ed attraenti?
CONNECTION intende verificare nuovi strumenti per la trasformazione della città d'oggi: siamo alla ricerca di un'architettura e di un'urbanistica differenti, che non partano da un'astratta pianificazione a tavolino, ma siano in grado di crescere e di svilupparsi come un virus benefico, deformando ciò che già esiste, in modo imprevedibile: un'architettura ed un'urbanistica capaci di nutrirsi della vita e dell'energia presenti nella stessa urbanità.
Abbiamo più volte detto in queste pagine, che il senso dell'evoluzione della città e della sua struttura spaziale e formale, non lo vediamo come la successione nel tempo di situazioni statiche, ma piuttosto come una condizione dinamica e volatile, in grado di tenere insieme le pressioni economiche (la prima sessione di riflessioni), i bisogni e i desideri (tutte le altre) delle persone che la abitano.
Introducendo la complessità abbiamo detto che se attribuiamo forza alle connessioni e non ai nodi, riusciamo a confermare la teoria secondo la quale l'essenza della Vita sta nel modo in cui interagiscono le molecole e non nelle singole molecole. Ripensare la città contemporanea a partire dalle connessioni significa, quindi, invertire la prospettiva della centralità dell'oggetto architettonico nella trasformazione del tessuto urbano ed insieme ad esso delle concentrazioni funzionali, e al contrario puntare l'attenzione sulle relazioni sociali e sui flussi Vitali di una metropoli.

Da CONNECTION vorremmo uscissero dei progetti che interrogano la realtà della città di Modena e le visioni che ne scaturiranno non devono essere necessariamente reali o realizzabili. Dovranno lavorare prevalentemente negli "spazi marginali", in quello spazio territoriale dai contorni non ben definiti tra città e paesaggio, il più possibile lontano, temporalmente parlando, dal centro storico, dall'immagine iconica della Città.
All'interno di questo scenario ogni "regista" ha definito un sistema di regole fenomenologiche atte a identificare la complessità della realtà contemporanea. In questo modo nessuno dei progetti di architettura che verranno prodotti proporrà visioni globali o totalizzanti, quanto piuttosto, operazioni progettuali contagiose e dilaganti, che percorrano strade non ancora battute, che sfruttino e rappresentino nuovi spazi e tessuti urbani.
Un Hub di Transportation (come il polo intermodale a cui ci riferiamo) è portatore di territori senza forma, di terre di mezzo: luoghi dove quartieri di pura speculazione si alternano a vuoti urbani; e residui di paesaggio naturale interrompono densi tessuti fisici ed umani. Lì dove le relazioni sociali e spaziali sono insolite, indefinibili o semplicemente difficili da inquadrare, i progetti dovranno cogliere il carattere confuso e vitale di queste aree non per negarlo, ma per cercare di renderlo esplicito e consapevole, inventando, se necessario, nuove relazioni per nuovi spazi.
In questo senso vorremmo che CONNECTION si ponesse in alterità rispetto ai suoi precedenti storici. Se i progetti redatti fino ad ora si concentravano sul problema del disegno della città storica (o almeno di una parte di essa) proponendo visioni urbane utopiche ed elitarie (in un senso e nell'altro senza distinzioni) a partire dalla forma della città antica, CONNECTION, con gli stessi presupposti, vuole cercare di proporre un'interpretazione completamente diversa: non più legata alla fissità della città costruita, ma profondamente interessata alla trasformazione della città contemporanea e al suo rapporto con la storia e la memoria.

Cerchiamo di aprire una finestra su un tessuto urbano in costante trasformazione, e per farlo in modo significativo proviamo a catturare pochi minuti di una realtà mobile ed inafferrabile come il mercurio; una realtà, che proprio come il mercurio, si offre quale mezzo più adatto per misurare la salute della città di Modena, ed in generale della media città italiana. In brevi storie e fotogrammi di pura architettura i "registi" evidenziano patologie e potenzialità della città, mettendo in luce aspetti e fenomeni che ormai da tempo hanno sovrapposto alla città (di Modena nel nostro caso) un'altra città.
CONNECTION instaura un dialogo fra linguaggi artistici, proponendosi di svelare l'anima nascosta della città (Modena) contemporanea, non cercandola dunque nella città storica, bensì in quella città in divenire nascosta dietro ai suoi edifici; nascosta ben oltre i binari della ferrovia e della stazione delle autocorriere, disegnando ed esprimendo la nuova architettura digitalizzando i canoni della complessità.
Non è facile ma ci diverte molto provarci.


MP

martedì 8 dicembre 2009

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Buckminster Fuller. Tutti voi conoscete questo straordinario personaggio, autore di alcune delle più interessanti ricerche sullo spazio architettonico dell'ultimo secolo. Fu colui che elaborò, nel 1929, lo schema della 4D Tower - un grattacielo di metallo prefabbricato, trasportato da un dirigibile Zeppelin - e che nel dopoguerra si dedicò alla maniacale messa a punto di un guscio a cupola - il Necklace Dome - esposto per la prima volta nel 1949 nel giardino del Pentagono a Washington. Per i suoi esperimenti sulle cupole geodetiche, concepite con i materiali più diversi, Fuller si appoggiò con fiducia e decisione alle autorità militari americane, ed arrivò a progettare e realizzare tutta una serie di varianti da usare nell'ambito del sistema di difesa nazionale contro un eventuale attacco aereo russo, negli anni più aspri della guerra fredda tra navicelle targate USA e Sputnik comunisti. Nel 1958 Fuller aveva reso noto il suo progetto di sparare sulla Luna delle strutture "tensegrali" - un neologismo che combinava "tensione" e "integrità" -
o di usarle come satelliti per la navigazione nel Cosmo.
Bene, quasi ci siamo. Tutto questo sta per avere una materializzazione. La ricerca "visionaria" di Buckminster Fuller sta per essere tradotta in realtà architettonica tangibile ed usufruibile.
L'Agenzia Spaziale Europea ha infatti commissionato allo studio di Norman Foster il progetto di studiare le applicazioni al mondo delle costruzioni dei materiali raccolti nello spazio dalle missioni Apollo e Gemini in avanti e di considerare la possibilità di costruire sul nostro satellite strutture permanenti che consentano agli astronauti di trasformarsi in veri e propri esploratori dei misteri del mondo lunare, eseguendo per lunghi periodi esperimenti sulla vita nello spazio.
E' ufficialmente l'apertura di un'Era e non credo che neanche la più megalomane delle fantasie professionali l'avrebbe mai neppure immaginata. Eccetto quella di Buckminster Fuller.
Cosa c'entra l'Architettura "stellare" con CONNECTION? Molto. In quanto sempre il barone rampante dell'High Tech è l'autore del primo "spazio-porto" del Mondo - che è la naturale evoluzione dell'aero-porto - il Virgin Galactic di Rowell (nel New Mexico, dove i fedelissimi giurano sia che sia caduto il primo UFO nel 1947), ideato e finanziato da Richard Branson (Virgin group) che ha investito 250 milioni di euro per sviluppare un nuovo sistema di lancio del fantascentifico Spaceship Two, l'ultima frontiera nel campo del volo e la prima porta verso il nuovo turismo interstellare. Il progetto di Foster è una gigantesca "razza" adagiata sul fianco di una collina ed è il punto di svolta di una tecnologia dove industria satellitare e industria delle costruzioni si troveranno alleate in una nuova fase della complessa, ma affascinante, globalizzazione del pianeta. L'attività dello Spazio-Porto di Rowell è prevista che inizi nel vicinissimo 2010, anno in cui si dovrebbero concludere i lavori di cantiere. Per quanto riguarda gli step di avvicinamento al primo volo turistico oltre la linea di Karman (sono i 100 chilometri di quota internazionalmente riconosciuti come la frontiera ufficiale dello spazio) la "White Knight 2", la navicella madre che trasporta la"Space Ship Two" è impegnata in voli di prova. L'esemplare ha in programma il terzo volo test prossimamente con l'obiettivo di raggiungere la quota di 20 mila piedi. Per quanto riguarda la "Space Ship Two" ossia la navicella con motore a reazione che, staccandosi dall’aereo madre, porterà a 110 chilometri sei passeggeri paganti per volo, l’implementazione è prevista in autunno con il primo volo prospettato per il 2010. La White Knight 2, oltre ad essere l’aereo madre del sistema, è una piattaforma per ricerche di alta quota con due cabine in grado di ospitare personale e apparecchiature. “L’obiettivo è essere commercialmente redditizi e spingerci oltre il suborbitale, compresi i voli ipersonici per passeggeri che consentiranno di collegare, ad esempio, Londra e Sydney in 2 ore” afferma la direttrice vendite di Virgin Galactic.
Londra / Sydney in due ore.
Questa è la vera notizia che ci interessa, come capirete facilmente.
Certo, anche pensare di poter andare a lavorare sulla Luna è una prospettiva interessante, ma è dei "tempi lenti" dei flussi che ci stiamo interessando in particolare con questa comunicazione, e quei "tempi lenti" stanno subendo un'evoluzione impensabile solo venti anni fa. Anche nel Bel Paese se ne potranno sentire le conseguenze per via dell'Alta Velocità che permette di andare dalla Capitale economica alla Capitale istituzionale in meno di tre ore, e dalla nostra provincialissima città a Milano in meno di una, con innumerevoli vantaggi per chi, come noi, ha frequente necessità di tavoli di lavoro globalizzati che si possono trovare solo in certe parti del Paese. E tutto questo concorre a creare quella geografia "intercittà" a cui facevamo riferimento alcune comunicazioni fa. Una geografia nella quale dovranno coesistere condizioni di percezione della realtà secondo "tempi lenti" ma anche secondo "tempi veloci"; una geografia nella quale il concetto di "genius loci" avrà necessariamente bisogno di essere se non proprio abbandonato (cosa che auspico succeda presto) almeno oggetto di una rilettura profonda, tale cioè da permettere di capire che quei "geni benefici" che dovrebbero, secondo le più diffuse teorie accademiche, animare i luoghi non hanno nè origine naturale (quasi scaturissero dal suolo) nè soprannaturale (come se discendessero dal cielo) ma - ebbene sì - esclusivamente culturale.
Quei "geni" sono presenti in quei luoghi perchè abitano il nostro sguardo e abitano il nostro sguardo perchè provengono dall'arte. Lo spirito che aleggia e che "ispira" tali siti è semplicemente quello dell'arte che, tramite il nostro sguardo, artificia il paese in paesaggio. Ma se non capiamo bene questo corriamo il rischio di non sapere dare un giudizio di valore a tutti quei luoghi che concorreranno nel prossimo futuro (anche quello veramente prossimo del Workshop) alla definizione del paesaggio che farà da scena alla nostra Vita.
Nel nostro caso non abbiamo da valutare l'impatto su un tessuto urbano ed il suo paesaggio di uno Spazio-porto, ma "solamente" di un polo intermodale. Le conseguenze sono, evidentemente, molto differenti, Ma nella definizione delle equazioni del sistema che utilizzerete - con le vostre formule fenomenologiche - per risolvere lo specifico stato di complessità davanti al quale ci troviamo con questo progetto x Modena, sarà indispensabile dare una valutazione critica della cultura alla quale si fa riferimento e si attinge per le scelte progettuali. A questo proposito vi suggeriamo una domanda alla quale sarà obbligatorio rispondere se vorremo offrire ai nostri interlocutori proposte di qualità :
disponiamo o no dei modelli che ci consentono di cogliere ciò che abbiamo sotto gli occhi?


MP

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(non sapere vs. sapere - ma solo per un pubblico esperto -)

Agli inizi degli anni settanta (ed anche dopo per un bel po'.......forse anche adesso....) si studiava Aldo Rossi.
Era un'epoca di convinzioni al tramonto. La maggior parte d_ei progettisti in attività durante quel periodo non si rendeva conto di essere dinnanzi alla fine del pensiero utopistico moderno e, basilarmente, alla fine della propria influenza sulla pianificazione urbanistica. La comparsa di due libri di fondamentale valore - Architettura della Città di Rossi e Complexity and Contradiction in Architecture di Venturi e Scott Brown - creò un'ingannevole certezza sul modo in cui si sarebbe dovuta percepire e pianificare la città contemporanea. Questi testi segnarono l'inizio della cultura postmoderna, che plasmò il pensiero di un'intera generazione di progettisti. Erano testi affascinanti. Rossi, Venturi e Scott Brown fecero credere che loro sapevano ciò che era o doveva essere la città. Secondo Rossi le città erano basate sulla permanenza e su modelli tipologici che andavano ripetuti. Egli consigliava di rifarsi ai modelli storici o di ricrearli in altre collocazioni, in un modo del tutto analogo a ciò che facevano gli antichi romani quando costruivano le loro città nei vari angoli dell'Impero. Venturi e Scott Brown scoprirono la qualità informale della città americana, soprattutto della "main street", la "strada principale", e sottolinearono l'importanza dell'iconografia in architettura. Osservarono e descrissero città e le presentarono come modelli. Tutto ciò esercitò una grande influenza su un modo di pensare il design urbano che ebbe grande successo di pubblico. Ed ancora ha proseliti.

Tuttavia, mentre Rossi, Venturi e Scott Brown immaginavano come avrebbe dovuto essere la città, a me - forse per reazione - ed a altri più prestigiosi di me, apparve chiaro che bisognasse vivere senza proclami. Dico "forse per reazione" ma in realtà fu proprio per quello: non mi sono mai piaciuti i proclami.
Loro presentavano modelli di città ed io mi rendevo conto che bisognava immaginare senza modelli ed iniziare lo sviluppo dell'idea con un'assenza di teoria come mai era accaduto in precedenza. Abbracciare la libertà di questa incertezza l'ho sempre vista come una opportunità unica. Ero affascinato dal puro e semplice fatto della città e cercavo di affrontarlo con tutta l'apertura di cui ero capace, con una specie di ingenuità pragmatica. Questo più o meno ai tempi delle "sezioni di Londra" che ho citato in precedenza, sviluppate in una summer session all'AA, nelle quali si cercava di trovare il dna della città per iniziare a modificarlo geneticamente al fine di creare qualche mostro simpatico e alla mano. Meno pesante....
Piuttosto che sul sapere (che comunque consiglio a tutti come background) o sul credere (che in senso fondamentalista invece non consiglio a nessuno nel mondo dell'architettura), l'approccio che avevamo si basava sul non sapere ciò su cui fare affidamento. A distanza di anni abbiamo scoperto che avevamo intuito correttamente: l'architettura contemporanea di qualità ( quella che non si preoccupa troppo del giudizio del tempo) oggi utilizza questo approccio, naturalmente in forme coniugate. Sviluppa soluzioni originali della complessità caso per caso, ben lungi dall'utilizzare schemi o modelli precostituiti, essenzialmente per l'incapacità di questi di soddisfare compiutamente i programmi con i quali abbiamo a che fare al giorno d'oggi.
Ed è essenzialmente questo quello che cerchiamo di farvi comprendere e metabolizzare.

MP

venerdì 4 dicembre 2009

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(sulla recitazione)


Quando penso al rapporto tra città ed Architettura, penso alla democrazia. L'Architettura partecipa a quella modificazione di atteggiamento che è la rappresentazione della comunità.
Riusciamo a cogliere bene il concetto quando c'è un'assenza. Quando i Budda in Afghanistan o le Twin Towers a New York vengono distrutti, oppure la Golden Dome di Samarra in Iraq non esiste più, in quel momento c'è un'assenza, un senso di mancanza, di vuoto e gli eventi in cui l'Architettura non c'è più ci fanno comprendere meglio la sua importanza. Il vuoto dell'assenza dimostra che l'Architettura partecipa al processo della democrazia.
Anche quando sono bruttissimi, non funzionano, sono esteticamente orribili, gli edifici SONO la rappresentazione della società a cui si riferiscono. Sempre.
L'Architettura può avere un effetto sulla società, anzi deve averlo; perchè quel che facciamo noi progettisti di architettura è cercare di costruire uno scenario in cui gli uomini siano i soli attori.
L'Architettura non può essere indipendente dagli uomini, in quanto se, per pura astrazione, immaginassimo una città senza gli uomini, o gli uomini senza un'Architettura di città, verificheremmo che ci sarebbe qualcosa che non funziona, si vedrebbe un'assenza. Perciò gli esseri umani sono obbligati a vivere insieme alla loro Architettura.
Gli architetti disegnano lo scenario in cui gli attori recitano e se questo scenario non permette l'entrata in scena, l'uscita o l'evento culminante, tutto crolla. Lo scenario può produrre poesia ma anche disperazione, in quanto può originare qualunque cosa. Ma non risolve il problema della recita. Ora ve lo spiego.
E' evidente, in questa veloce disanima, il rapporto di simultaneità (lo stesso del contrasto cromatico) tra cultura e Architettura. Vi dico questo in quanto succedono cose strane a fidarsi ciecamente dell'equazione scritta sopra.
Ad esempio.
Se dici ad un abitante della banlieue parigina che demolisci gli edifici perchè sono brutti, spesso ti risponderà che sì, è d'accordo, sono brutti, ma attenzione! che non ti azzardi a costruire poi torri o stecche o corti a patio ecc....
..............................? Già............
Gli abitanti sono d'accordo nel volere le scale più larghe, ma senza cambiarle. Allora tu pensi: " Come no? Sto posto è brutto che fa schifo, ci vivete male, avete bruciato le porte, gli ascensori non funzionano, i disimpegni sono un disastro e pure i pianerottoli sono sbagliati....e allora perchè lo volete ancora? E molti di loro ti rispondono: " Perchè io qui ci sono nato". Nello scenario che è stato loro proposto, hanno recitato la loro commedia umana, anche se nel posto peggiore. Questo troppo diffuso tipo di risposta (nelle banlieue è solo più grottesco) deve far riflettere.
Ma non tanto sulla scena, bensì sulla recita.
Si crea, evidentemente, un problema di sensibilità, in quanto tu sai che devi eliminare uno scenario per non protrarre non solo i luoghi della disperazione ma anche per adeguare quelli della Vita , ma nello stesso tempo devi trovare il modo affinchè avvenga un passaggio. Non esiste edilizia, edificio che si possa cancellare in un istante. Noi sappiamo che in mezzo mondo ci sono scenari da rivedere. Però il problema del "passaggio di stato" è estremamente delicato, in quanto si tratta della commedia umana ed i suoi attori spesso non sono preparati a discuterne.
Bruno Zevi disse, una volta, che non era abbastanza essere un grande progettista di Architettura. C'era (e c'è) una cosa in più nell'essere un buon architetto: l'interesse per la complessità della società. La necessità, aggiungo io, di riuscire a cogliere le sottili logiche che possono permettere la convivenza di tutti gli attori senza che si uccidano tra loro, o si insultino o siano disinteressati al bene comune. Ma il bello di tutto ciò è che spesso questo è solamente impossibile. Ed è solo un problema di educazione alla cultura ed al saperla riconoscere. Niente di più. Educazione.
In una società democratica ogni attore ha la libertà di esprimere il suo pensiero. Anche se non sa perchè lo esprime nè cosa lo motiva. E' un problema che anche i greci (gli inventori di questa bizzarra cosa) avevano notato e per il quale avevano elaborato qualche "mossa difensiva", essenzialmente legata al concetto di "saggio" e "saggezza", (concetto che nel tempo si è un po' deteriorato) ed affidando grande importanza agli educatori (anche qui nei tempi il concetto si è parecchio deteriorato invero). Ma tant'è.
Nel corso dell'ultimo secolo l'attenzione si è concentrata sul soggetto sbagliato. E' la recita che definisce l'architettura e la qualità della scena, non il contrario. Ed il Guggenheim di Bilbao è diventato un organo vitale per quella città non per come è fatto ma per cosa rappresenta, e la genialità che lo sottende non è tanto nella plasticità delle forme, quanto nella capacità di dare un volto ai desideri ed alle aspettative di una cultura. Ed il fatto che "esportato" tout court non ha più funzionato nello stesso modo ne è la testimonianza tangibile.
La recita. OK, direte voi, ma fin troppe volte riconosciamo gravi lacune nella grammatica del testo della recita e nessuno accetta di discuterle in quanto "...è sempre stato così" o " ......è così che mi ricordo si è sempre fatto". Senza contare che la maggioranza della gente ha faticato "sette camicie" per imparare a recitare quel ruolo e della sua incapacità ne ha fatto un vanto. (e nel Bel Paese questa è una prassi drammaticamente molto diffusa......). E' questa la vostra osservazione?
Bene.
Perchè è esatta. Questa è la realtà di cui stiamo parlando. Alla fisiologica complessità dettata dall'evoluzione bio e psico-logica della Vita, che procede imperterrita disinteressandosi della banalità (più o meno drammatica) della quotidianità, avendo come metro ritmico un tempo lunghissimo a cui si accompagnano delle sonorità ai limiti delle frequenze udibili, si somma una complessità altra, spesso ingiustificatamente rumorosissima e falotica, che utilizza troppe frequenze bassissime ed altissime per illuminarsi e che rende il compito di interpretare correttamente la reale qualità che ci circonda molto difficile e facilmente vittima di clamorose sviste.
Ed è proprio da quelle sviste che poi sorgono scenografie per la recita che risultano banali e di nessuna efficacia.
A volte, però, la grammatica è corretta. Non è la prassi, questo è vero, ma a volte la costruzione delle frasi, il loro modo di articolarsi ed il significato a cui alludono, sono di qualità. Significa che nel divertentissimo caos voluto dalla Vita è stato colto un momento di verità, ed è stata scritta una storia interessante. E la recita che ne consegue dipende allora solo dalla bontà degliattori, ed in questo caso sarà molto più facile riconoscere chi sa recitare dai ciarlatani e tutto sarà, più o meno, in equilibrio per un po'.

Per cui, per cortesia, almeno a CONNECTION vediamo di utilizzare una piéce teatrale di un certo spessore.....................

MP

_regole fenomenologiche pt2

Gentili partecipanti,

Sono Stefano Ceccotto, Senior Designer di SOM e vi presentero’ la lecture Connection.

Leggo I post di Marco sul workshop e sono molto interessato alla struttura informale su cui state lavorando.

Vi do’ subito alcuni riferimenti che possono esservi utili.

Il primo e’ il programma del corso di Digital Modeling for Urban Design Brian McGrath, che e’ stato mio professore a Columbia. Leggete il framework, vi descrive alcuni approcci metodologici alla modellazione ed alla costruzione di una storia – lo storyboard di cui parla Marco. Vi portero’ alcuni esempi di lavori fatti con Brian alla Columbia, cinematica digitale piu’ che altro. Si lavorava sulla costruzione di un momento topico, da sviluppare in maniera dinamica – giusto per ricordare che urban design e’ una disciplina a 4 dimensioni.

Eccovi il sito del DMUD a Columbia – guardate anche I lavori degli studenti dell’anno scorso.

http://www.arch.columbia.edu/workpage/work/courses/visual-studies/digital-modeling-urban-design-0

Potete anche leggervi “Deleuze on Cinema”, di Ronald Boque – ammetto che non ho idea di chi lo pubblica e traduce in italiano- un testo secondo me fondamentale per chi si approccia all’immagine. Se volete comprarlo su Amazon ecco il link:

http://www.amazon.com/gp/product/0415966043/ref=pd_lpo_k2_dp_sr_1/187-6609383-1219925?pf_rd_m=ATVPDKIKX0DER&pf_rd_s=lpo-top-stripe-1&pf_rd_r=1QBB60TE2ZXNMWG6KBVC&pf_rd_t=201&pf_rd_p=486539851&pf_rd_i=0816614008

C’e’ poi un altro sito che potete consultare. Si tratta sempre di un tipo di linguaggio dinamico, ma questa volta non cinematico – e piu’ facile da leggere in termini di “architettura”. Sempre di Brian McGrath. Questo e’ un tipico esempio di presentazione costruita su uno storyboard interattivo. Cioe’: a seconda delle vostre scelte, ottenete informazioni diverse.

http://www.skyscraper.org/timeformations/intro.html

Buon divertimento.

Ceccotto

venerdì 27 novembre 2009

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I file delle regole fenomenologiche selezionate, nonché il masterplan descritto in sorpresa:pronti?.....via! può essere recuperato dalle cartelle pubbliche di co4.connection, su http://www.esnips.com.
La procedura è un po' intricata ma funziona:
1- accettate l'invito a diventare friends di co4.connection (se non lo avete ricevuto richiedetelo)
2- aprite la cartella desiderata e visionate il materiale
3- è possibile effettuare il download del materiale solamente dopo averlo visionato
4- il nome dell'autore nonché il suo riferimento e-mail è reperibile direttamente dal nome del fine

Buonavione

_regole fenomenologiche

Gentili partecipanti,
abbiamo visionato e discusso i lavori svolti che avete inviato numerosi.
E' stato divertente e difficile contemporaneamente.
Sicuramente ci siamo convinti della bontà dell'impostazione del Workshop.
Questo first step ha permesso a tutti di avvicinarsi alla problematica del trattare nei fatti e non solo nelle parole l'argomento in questione.
Alcuni di voi ne hanno fatto una specie di riassunto, come per riordinare le idee, altri ci hanno provato ed alcuni sono riusciti ad ottenere un risultato interessante.
Sappiamo per primi che non è facile. Ma questo è fare architettura oggi.
Poi dovrete disegnarla, scegliere con il cliente i materiali, andare in cantiere a spiegare perfettamente come realizzarla.
Ma per scriverla oggi si deve percorrere questa strada.

SOM ci chiese, quando si prospettò la possibilità di realizzare questo incontro, cosa ne pensavamo della possibilità di creare un evento attorno alla loro lecture; un evento che coinvolgesse direttamente gli studenti ed i docenti afferenti agli argomenti in questione. Abbiamo risposto che non avremmo avuto la possibilità di realizzare un "seminar" per motivi logistici e culturali, ma che avremmo tranquillamente potuto organizzare un evento di architettura, in quanto questo è un argomento che riusciamo a trattare con una certa dimestichezza. Ed è quello che grazie a voi si sta piano piano
generando. Non avete idea di cosa è arrivato in Studio in questi ultimi due giorni. Si stenta a crederlo. Se uno non lo vede, legge, guarda di persona non ci crede. C'è una vivacissima voglia di fare qualcosa di originale ed autentico, in cui credere. Ed è il terreno ideale per far crescere qualcosa di sano e culturalmente gustoso.

Come procediamo.
Si sono selezionati dieci lavori: dieci potenziali ed effettive regole fenomenologiche capaci di interpretare in maniera acuta e propositiva la realtà culturale e sociale che ci circonda. I produttori di questi lavori diventano automaticamente i titolari della poltrona di regista del video di architettura che dovrà nascere dall'applicazione di queste regole fenomenologiche al Masterplan dell'area in questione che vi invieremo a breve. E gli altri?
Gli "altri" contatteranno i "registi" e verificheranno quale di loro ha l'idea più interessante. Fatto questo confronteranno le idee e le abilità da offrire proponendola disponibilità a partecipare allo sviluppo del progetto.
N.B.
Tutti gli "altri" dovranno essere coinvolti, quindi largo al buon senso!

Il regista ed i suoi collaboratori dovranno definire quindi lo storyboard da quale si svilupperà il progetto di architettura che verrà esposto e raccontato nel video finale.
E' evidente che prima si scrivono gli storyboard meglio è.
Per la scrittura dello storyboard e per le tecniche di sviluppo del video siete liberi di usare le strategie che preferite. Verifichiamo insieme le direzioni che avete intenzione di prendere ma solo per non creare prodotti incomprensibili o
inavvicinabili, che non avrebbe senso.

I dieci lavori selezionati sono stati prodotti da:

Marcello Branzanti
Mila Balestri
Filippo Nassetti
Marco Reggiani
Giovanni Amadei
Vincenzo Reale
Matteo Tosi
Sara Campagna
Enrico Lupatelli
Ilaria Venturelli

Abbiamo creato un ftp dove potrete trovare i lavori selezionati e, quindi, le sottese regole fenomenologiche. Nell'ftp porremo anche il masterplan di riferimento, al quale "applicare" le varie filosofie d'intervento suddette al fine di generare l'architettura della città futura che racconteremo con il video finale.

Vi arriverà un messaggio specifico con le informazioni dell'ftp.

A presto

MP

mercoledì 25 novembre 2009

_g

Mentre date fondo alle esplorazioni di territori sconosciuti al fine di suggerirci che siete meno sprovveduti di quanto noi pensiamo, approfondiremo un tema progettuale urbano di grande attualità: la modellazione del paesaggio.

E' un argomento che negli ultimi venti anni ha riscosso moltissima attenzione e curiosità, in quanto, quando ben svolto, ha sempre dato risultati sorprendenti sia in termini di qualità urbana sia in termini di qualità architettonica.

Per discuterne sfrutterò un'intervista a cui ho assistito durante una Biennale di Rotterdam ad un personaggio controverso, ma indiscutibilmente di grande spessore culturale; Zaha Hadid, per la quale lavora un'amica italiana che mi ha aiutato a capire meglio alcuni concetti espressi durante la conferenza.

Come mai Hadid per capire meglio la modellazione del paesaggio? Innanzitutto per il fatto che lei è convinta che un repertorio formale sia essenziale per l'urbanesimo. Personalmente affronto questo tema con acuto scetticismo ed il motivo è ben celato nella cattiva abitudine dell'accademia italiana di utilizzare tonnellate di concetti come "tipologia" e "impatto sul costruito" per imbastire qualsiasi riflessione formale sul paesaggio. Ma è un argomento indispensabile da affrontare. Ed ecco che scoprire l'interesse di Zaha Hadid a dar vita all'idea genertrice del progetto conformando il piano del suolo attraverso l'intaglio, l'implosione e l'esplosione, mi offre la possibilità di tirare un sospiro di sollievo e allontanare lo scetticismo patologico accumulato verso tutto ciò che è formale.
In particolare le analogie con quanto detto fino ad ora nelle altre mie comunicazioni, sono ben chiarite dalla condizione fondamentale che sta alla base di questa ricerca e cioè che la conformazione del piano del suolo non viene attuata per un semplice gesto formale ma esclusivamente come modo di affrontare la complessità del progetto, la componente sociale dell' architettura. Scoprire questo non solo mi ha fatto stare bene psicologicamente, ma mi ha tranquillizzato. Mi sono detto "un altro designer che la pensa come noi". Che crede che la soluzione dell'architettura e dell'urbanesimo contemporanei sia da ricercare nella complessità. Bene.

Il modernismo ignorava il suolo innalzando edifici sopra il suo livello e lasciando spazi aperti per il pascolo delle pecore!

Siamo convinti che si debba indagare il livello del suolo, studiarlo ed imparare a programmarlo come sede di eventi (come abbondantemente approfondito fino ad ora). La questione non è meramente formale: è programmatica. E' relazionale. E' landscape. E' land art.
Zaha Hadid, ad esempio, è dagli anni sessanta che sperimenta la collocazione di ampie strutture programmatiche al livello del suolo in modo da evitare che divengano una barriera. Fin dai primi progetti presso la AA di Londra e dalla programmazione della distribuzione dei terreni di Colonia o dal progetto dei Grand Buildings per la Londinese Trafalgar Square, per tutti i quali usò il concetto dell'intaglio come modalità di presentazione di molteplici eventi al livello del suolo.
Da lì nacque, per Lei, l'idea del suolo come entità pubblica porosa, in cui chiunque può spostarsi a suo piacimento. La forma ed il programma non possono essere scissi l'una dall'altro: la topografia li unisce. Per un designer di architettura è importante interrogarsi sul modo in cui la forma si rapporta al programma. Per Zaha Hadid è molto rilevante la griglia: questa consente l'esistenza di elementi diversi a livelli diversi. E', per i suoi sviluppi progettuali, una sorta di rete che interpreta nei modi più disparati. In un progetto per Istambul, di qualche anno fa ad esempio, collocato in un avvallamento urbano contenente una vasta area industriale in disuso nei pressi del mar di Marmara, si è cimentata con lo schema a griglia, creando catene montuose che si ergono alle intersezioni e configurando una rete distorta che muta e si addensa con il passar del tempo. Può iniziare come una distesa erbosa aperta, si può occupare sia la strada che la zona verde, si può occupare l'intero lotto o gli incroci su cui sorgono grattacieli a forma di stella ed edifici più bassi adibiti ad abitazioni o ad uffici. Una rete fluida che muta a seconda del tempo, del programma e dello spazio. Questa gradazione rende possibile un processo di composizione incompleta, in cui un progetto cresce in maniera organica con il passare del tempo, pur apparendo e risultando completo in ogni momento della sua evoluzione. Direi che il caso del MAXXI di Roma, di grande attualità, ne è un esempio eccellente in quanto consistente in edifici diversi e dà la sensazione di costituire un oggetto completo formato da tre, poi quattro poi cinque segmenti (se verranno come spero costruiti tutti........in Italia...).
Condividiamo un altro pensiero con la designer" iraquoinglese" e cioè che molti architetti nutrono un interesse indiretto per la città tradizionale e che ambiscono, invece, a poter trattare con la città globale. Forse, pensa la Hadid, si tratta di una reazione agli impatti negativi delle regolamentazioni urbanistiche, che hanno distorto tanti paesaggi urbani. Dovremmo distaccarci da queste logiche bidimensionali e riflettere sulla stratificazione di un singolo lotto. La stratificazione costituisce un sistema organizzativo che può diventare sempre più complesso via via che passa il tempo. Il suo potenziale aggiuntivo contribuisce a una nuova modalità di lettura e di intervento sulla città contemporanea.

A questo proposito ho memoria di una "Summer Session" che feci anni fa a Londra presso la AA come apprendista designer. Ci fu chiesto di attraversare Londra da est a ovest e poi da nord a sud e di disegnare ciò che vedevamo. Poi ricominciammo in senso diagonale da nord-est a sud-ovest e viceversa: una Londra all'infinito. Si doveva elaborare una sezione di questa linea ed analizzarne il "potenziale paesaggistico urbano" e quindi collocare in vari punti gli edifici che reputavamo necessari per la città. Attraverso quella lettura capivamo in che modo la città subiva un graduale mutamento nella sua sezione e quanto fossero "imprevisti" gli avvenimenti che si verificavano: per esempio, tutti i parchi sono allineati lungo uno di quegli assi. Ricorrendo ad una tecnica pittorica, individuammo ed isolammo i "villaggi urbani" di Londra che convergevano nella città, creando così una nuova immagine di Londra e del suo vero funzionamento. Questo processo mi ha chiarito in che modo la città potesse crescere; che poteva cioè espandersi verso est creando una nuova metropoli lungo il Tamigi che, all'incirca quanto sta avvenendo adesso, a quasi venticinque anni di distanza (!!).

Per mia "necessità culturale" ho riapplicato quel processo di indagine anche alle mie città, quelle dove vivo, nel Bel Paese. E mi sono accorto che il "potenziale paesaggistico urbano" aveva grandi affinità con quello dedotto a Londra. Non sto parlando del dettaglio architettonico o della ringhiera in ferro battuto verniciata di nero che accompagna il disegno dei "Terraces". Sto parlando della traccia, lasciata sugli schemi grafici e sulle tavole dipinte, dall'energia vitale che pulsa all'interno e nelle profondità della città.
Quella energia che necessita di nuove architetture (non necessariamente di nuovi edifici) per essere adeguata, assecondata e coltivata. Come ogni cultura libera, di qualità solo decente, richiede per la sua sopravvivenza.

Altro aspetto che completa e rende didatticamente interessantissima la visione di Zaha Hadid del problema "città globale", è il grande interesse che suscita in lei la "porosità" delle strade. Tuttavia a questo riguardo non è possibile legiferare: accade e basta.
Lei fa un esempio a proposito e dice che anni fa "...restai sopraffatta dall'oscurità della londinese Sloan Street alle sette di un sabato sera. Erano tempi di recessione e molti negozi erano chiusi, quindi dalle vetrine e dai ristoranti non trapelava luce. Ora, nonostante oggi le cose non vadano molto bene per l'economia mondiale, accade il contrario: le strade risplendono e, come sempre, le persone vi si insinuano al livello del suolo. Questo fenomeno non è mai stato progettato: è accaduto e basta. Uno dei fattori che più hanno modificato l'intensità urbana di Londra nell'ultimo decennio è consistito nella sostituzione delle sedi di banca sfarzose ma scialbe che occupavano gli edifici d'angolo, con bar e ristoranti che hanno riprogettato quegli spazi di grande presenza iconica. Quel che voglio sostenere, continua la Hadid, è che il dibattito sul modo di attivare il livello del suolo è in corso da venticinque anni e non è mai
stato messo in pratica attraverso la progettazione, mentre lo è stato attraverso la programmazione."
Come vedete c'è grande affinità di impressioni con quello che abbiamo discusso fino adesso in queste comunicazioni. Naturalmente lungi da me suggerire questa come l'unica strategia per affrontare il problema. Ma è quella in cui crediamo ed è anche quella sulla quale si stanno cimentando, secondo prospettive molteplici, i gruppi di studio più importanti del mondo del progetto.

Un'ultima nota a margine di questa chiacchierata sulla modellazione del paesaggio..
Noi siamo affascinati dagli interventi urbani dei modernisti della vecchia guardia, come alcuni degli stabili neocorbusiani in lastroni e blocchi di cemento di cui sono ricche molte città anche del Bel Paese e non necessariamente solo nelle periferie. Questi edifici sono frammenti di vasta scala, interventi geometrici incompleti disegnati per rimpiazzare la città esistente. E' la loro incompletezza a destare il nostro interesse, in quanto rappresenta gli esordi di un'ambizione relativa alla possibilità della geometria urbana di manovrare nel concreto le attività compiute nella strada e nella forma edificata. Nel cuore delle città storiche questo è, evidentemente, molto difficile da gestire. Intervenire in modo contemporaneo è fondamentale, ma bisogna farlo con estrema precisione. Nella città servono luoghi in cui gli oggetti possano restringersi ed espandersi, e riteniamo perciò indispensabile, che occorra elaborare "qualche elemento" che renda possibile anche un tipo di crescita organico, capace di fondersi fisiologicamente con quello classico stratificato dal tempo, e capace di dare risposte complessive (vecchio+nuovo) coerenti alle domande quotidianamente poste dalla Vita alla contemporaneità.

MP

sabato 21 novembre 2009

sorpresa: pronti?....via!

Bene.
Abbiamo accumulato un certo numero di argomenti (ne arriveranno altri) su cui impostare la prima parte del workshop che è quella che partirà oggi, venerdì 20 novembre 2009.
Data storica per molti di voi. Infatti non credo che troverete più nessuno che vi chiederà di scrivere uno storyboard per un progetto di architettura........e vi assicuro che è un gioco che vi mancherà.
Ma tant'è. Quindi:
First Step: regole fenomenologiche

Abbiamo deciso la location della performance. Per una moltitudine di ragioni che non vi sto a spiegare, ma che molti di voi potranno facilmente immaginare, la location è stata scelta in Italia ed oltretutto qui vicino a noi. Questo, alla fine della fiera, essenzialmente perchè così riusciamo a dare un senso più compiuto al lavoro ed una più ampia visibilità.
Insomma, l'abbiamo fatto per voi.
Che per altro mi va benissimo, come ben sapete.
La città soggetto della nostra attenzione sarà Modena, di cui l'amministrazione ha manifestato già da tempo interesse a mettersi un po' in discussione e della quale, alcuni di voi, hanno già in portfolio indagini e dati, essendo stato teatro di progetti per Co.4 due anni fa.

Connection è un workshop che considera l'oggi in previsioni future. Considera la città di oggi e tenta di darne chiavi di lettura future. Considera, in particolare, cosa può innescare l'inserimento di un Hub di Transportation in un tessuto urbano. Gli squilibri iniziali, le tensioni superficiali e profonde, le rotture, le nascite e le morti, dei tessuti e delle cellule attorno alla ferita causata "dall'impianto chirurgico". Nel nostro caso dall'impianto di un "polo intermodale". Così, infatti, si chiama un sistema connesso di mezzi di trasporto differenti afferenti ad un unico ambito urbano (treni veloci, treni metropolitani, linee pubbliche a lunga percorrenza, linee pubbliche cittadine, taxi, autovetture private, moto e bici, nell'ordine nel nostro caso).

Modena ha già svolto un lungo lavoro di indagine attorno all'argomento che ha dato frutti esposti in una mostra circa un anno fa, di tipo prettamente urbanistico: quindi masterplan, essenzialmente, nei quali si suggerivano soluzioni per svariati ambiti della città. Tra questi anche quello che comprendeva la vecchia stazione FFSS, che è stato oggetto di ricerca di un team universitario sovrainteso dal prof. Porrino che ha esposto una soluzione (frutto di una lunghissima trattativa con l'amministrazione!) riassunta in un masterplan.

In CONNECTION non proporremo modelli alternativi di quel masterplan. Come vi ho già detto questo aspetto non ci interessa. Abbiamo abbondantemente criticato le metodologie di ricerca degli urbanisti nelle sedi opportune. Siamo sempre stati convinti che non esiste soluzione di continuità tra architettura e tessuto urbano, nel senso che le "pianificazioni" senza architettura non esistono e sarebbe meglio che venissero sostituite da alcune (poche) prescrizioni generali alle quali i progettisti dell'architettura e del paesaggio si dovrebbero attenere nello sviluppo congiunto delle soluzioni informali (nel senso letterale di non-formali) che le esigenze del momento richiedono.
Questo è lo stato dell'arte. Ma il terrore di abbandonare posizioni difensive è incommensurabile e per adesso non si vedono riscontri interessanti alla questione.
In CONNECTION proporremo una visione architettonica del disastro che succederà con quell'impianto. Meglio, una serie di visioni del disastro che succederà. La parola disastro non è casuale. E' la preferita dal popolo del Bel Paese (ma anche in Europa non si scherza!) che la usa tutte le volte che qualcuno suggerisce innovazioni. E noi proporremo solo innovazioni. Quelle innovazioni che dovranno essere permesse dall'architettura e dal paesaggio che verranno realizzati in quel contesto, a prescindere dalle tracce fatte sul terreno da qualche tecnico comunale in vena artistica.

La performance sarà essenzialmente questa: originali video di 4/5 minuti nei quali saranno "ospitate" diverse soluzioni percettiv dell'architettura e, conseguentemente, del paesaggio che l'inserimento del nuovo HUB (il polo intermodale) ha causato nell'organismo città. Cioè performance di Architettura Contemporanea.
Stiamo tentando di organizzare una presentazione in una location speciale. Ne abbiamo alcune, vediamo cosa matura.
Prima di continuare, però, voglio sia chiaro quanto è importante capire che se avessimo inserito un altro tipo di "protesi"(un aereoporto, un centro commerciale, una rete della metropolitana) all'interno della Città le risultanze sarebbero state profondamente differenti. E questo in quanto l "regole fenomenologiche" che ci dovranno permettere di "decodificare" la complessità e dalle quali partirà il processo creativo legato al Workshop, forniscono, una volta applicate a casi specifici, risultati straordinariamente differenti gli uni dagli altri. E' il bello (ed il terrificante) dell'informalità.
Bene. Ma dove troviamo queste "leggi fenomenologiche" di cui stiamo parlando da tempo?
Chi fornirà questa merce rara e preziosa per il progetto dell'architettura oggi?
Per rendere più divertente il workshop, abbiamo deciso che sarete voi a fornirle. D'altronde siete voi che fate il workshop per tentare di migliorare un po' la vostra mediocre ed instabile capacità progettuale. Quindi ci è parso didatticamente ineccepibile fare in modo che alla fine almeno capiate di cosa stiamo parlando.

First Step: regole fenomenologiche.
Vi spiego cosa succederà in termini operativi. Il primo step. da oggi 20 novembre 2009 a mercoledì prossimo 25 novembre 2009, sarà da vo impiegato per realizzare una prima fase, direi fondamentale, del workshop e cioè la creazione, da parte di ognuno di voi, di un opera finalizzata ad offrire una interpretazione della complessità urbana contemporanea. Nel miglior spirito di Co.4 non imponiamo nessun vincolo a come la realizzerete. Totale libertà.
Eccetto che per il fatto che ogni lavoro avrà l'attenzione dello staff x 2 (due) minuti. Cioè verrà letto (se è uno scritto) per due minuti, verrà visionato (se è un'immagine o un video) per due minuti; verrà ascoltato ( se è un file audio) per due minuti. Vi consigliamo perciò di progettarlo in modo da essere apprezzato tutto in due minuti. E' una scelta che abbiamo fatto con la volontà di ottenere dei lavori raffinati. A buon intenditor............
Vi chiediamo di chiamarla con un "motto" o un nome o un codice, come preferite. E' per averla + o - anonima sul tavolo.
Va consegnata entro mercoledì 25 sera a noi via mail. Quella sera ci troveremo qui in Studio da me e sceglieremo gli 8/10 per noi meglio riusciti, condividendo con gli amici di SOM il lavoro via Skype.

Questo primo step servirà a selezionare 8/10 opere (ed i loro autori) attorno alle quali faremo "crescere" la seconda fase che consisterà nella generazione di 8/10 gruppi di lavoro che dovranno redigere uno storyboard (che sarà una sorta di copione cinematografico) da cui, ogni gruppo, ricaverà, infine, il video che verrà presentato. Per certi versi è un'evoluzione di alcune esperienze fatte a Co.4. In quei casi gli obiettivi erano generici. Qui cerchiamo di farvi progettare dell'architettura di elevata qualità secondo canoni di avanguardia. Un upgrade, appunto. Poi vi spieghiamo come si procederà alle fasi successive.
Dimenticavo: CONNECTION è un workshop serio.


Buon lavoro e a mercoledì.


MP